Data prima pubblicazione
23/2/2024
August 3, 2020

Antibiotici: cosa sono, a che cosa servono e quando utilizzarli

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Gli antibiotici sono una classe di farmaci grazie ai quali la ricerca è riuscita a migliorare la salute dell’uomo riducendo parecchio la mortalità. Insieme alla diffusione dell’acqua potabile e alla creazione dei vaccini, rappresentano una delle scoperte con maggior impatto positivo sulla vita della comunità.

Che cosa sono e a cosa servono gli antibiotici?

antibiotici

Dal punto di vista farmacologico, gli antibiotici sono sostanze ottenute da organismi viventi (come per esempio funghi, piante o da particolari batteri) o sintetizzate in laboratorio, in grado di bloccare la crescita dei microrganismi e di provocare la loro morte.

Questi farmaci vengono utilizzati per curare o prevenire infezioni causate da batteri, impedendo la loro moltiplicazione e diffusione all’interno dell’organismo.

Non per tutte le infezioni batteriche è necessaria la terapia con gli antibiotici: generalmente vengono prescritti quando è difficile che l’infezione possa guarire da sola, grazie alla risposta del sistema immunitario, oppure quando i tempi di guarigione sarebbero troppo lunghi o quando esiste un rischio che insorgano ulteriori problemi o patologie (complicanze).

Classificazione degli antibiotici

Gli antibiotici possono essere classificati in diversi modi.

Antibiotici: scopriamo quali categorie esistono

La prima classificazione è in base agli effetti ottenuti sul microrganismo. A seconda della quantità di farmaco somministrata, possono essere:

  • batteriostatici, cioè che bloccano la crescita e facilitano l’eliminazione da parte dell’ospite;
  • battericidi, cioè che provocano la morte del parassita.

Gli antibiotici possono essere classificati anche in base allo spettro d'azione. In questo caso si dividono in:

  • ad ampio spettro, ovvero antibiotici che sono attivi sia verso batteri gram positivi che gram negativi;
  • a spettro ristretto, ovvero attivi solo su batteri specifici.

Alcuni antibiotici hanno un’attività che dipende prevalentemente dalla concentrazione presente nel sangue. Per altri, invece, l’attività dipende dalla durata del tempo in cui la concentrazione nel sangue supera la soglia minima per inibire la crescita dei batteri (attività tempo dipendente). Nel secondo caso, è necessario rispettare l’intervallo di assunzione tra le dosi. Per esempio, in caso di faringite, è necessario assumere l’antibiotico amoxicillina due volte al giorno, ogni 12 ore. Questo schema fa sì che l’antibiotico sia presente nel sangue in una concentrazione efficace per un periodo di tempo sufficiente.

Quando due antibiotici somministrati insieme uniscono le loro attività, potenziandole in quanto agiscono su due bersagli diversi, si parla di sinergismo. Invece, quando le attività di ciascun antibiotico hanno un effetto negativo l’una sull’altra perché agiscono entrambi sullo stesso bersaglio, si parla di antagonismo.

Combinazioni di antibiotici diversi generalmente vengono utilizzate quando:

  • ci si trova di fronte a infezioni causate da più batteri
  • ci si trova di fronte a batteri resistenti
  • si vuole avere un effetto sinergico

Quante categorie di antibiotici esistono?

Le classi di antibiotici maggiormente prescritte in Italia si possono raggruppare sulla base della struttura della molecola e del meccanismo d’azione e sono:

Le penicilline

Sono antibiotici come penicillina, amoxicillina, amoxicillina+acido clavulanico, e sono quelli maggiormente utilizzati in Italia. Agiscono inibendo la sintesi della parete cellulare dei batteri: quando la parete è indebolita i microrganismi non sono protetti e vanno incontro a morte. La penicillina è stato il primo antibiotico a essere estratto naturalmente, grazie all’intuizione di Alexander Fleming. Nonostante i derivati di questa molecola siano tra gli antibiotici più “vecchi” sono considerati ancora oggi quelli di prima scelta delle infezioni più frequenti, in particolare di quelle delle vieaeree (otite, faringite);

Imacrolidi

Si tratta di antibiotici come claritromicina e azitromicina e sono la seconda classe in ordine di utilizzo: hanno un meccanismo d’azione differente da quello delle penicilline e inibiscono la sintesi delle proteine da parte del batterio, legandosi a una struttura chiamata ribosoma. Sono particolarmente utili nella cura di infezioni respiratorie come alternativa alle penicilline (per esempio nei soggetti con allergia a questi antibiotici) oppure quando le infezioni sono dovute a determinati batteri, come per esempio il mycoplasma pneumoniae. Hanno un’azione batteriostatica (bloccano la crescita ma non uccidono direttamente i batteri) e c’è un rischio alto di resistenze a questi farmaci

I fluorochinoloni

Sono antibiotici come ad esempio ciprofloxacina e levofloxacina, inibiscono la replicazione del DNA dei batteri e sono utilizzati per curare un’ampia varietà di infezioni in particolare del tratto urinario, respiratorio, gastrointestinale. In Italia c’è un uso eccessivo di questa classe di farmaci e l’Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato lo scorso anno una nota informativa per avvertire gli operatori sanitari e i cittadini sul rischio di alcuni effetti indesiderati gravi seppure rari (per esempio rottura tendinea). Questi antibiotici dovrebbero essere prescritti solo per infezioni gravi o quando non è possibile impiegare altri farmaci;

Le cefalosporine

Si tratta di antibiotici come la cefixima, il ceftibuten, hanno una struttura simile a quella delle penicilline (appartengono entrambe alla classe dei “beta-lattamici”) e condividono lo stesso meccanismo d’azione: agiscono, come le penicilline,  sulla sintesi della parete cellulare dei batteri. Rispetto alle penicilline hanno uno spettro d’azione più ampio. Il loro impiego dovrebbe essere riservato alla terapia di infezioni di una certa gravità o in alcuni casi di allergia alle penicilline, ma sono spesso prescritte anche per infezioni lievi come faringotonsillite e otite.

Le tetracicline

Sono antibiotici come tetraciclina e doxiciclina. Hanno un meccanismo d’azione che è parzialmente simile a quello dei macrolidi: si legano al ribosoma, ma in un punto differente a quello dei macrolidi e agiscono bloccando la sintesi proteica del batterio. Rispetto agli antibiotici sopra descritti sono meno utilizzate e hanno indicazioni molto specifiche, come per esempio l’acne grave.

Quali sono gli antibiotici più utilizzati?

Sulla base dei dati riportati nel rapporto dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (Osmed), gli antibiotici maggiormente utilizzati in Italia sono:

  • amoxicillina+acido clavulanico
  • azitromicina
  • claritromicina
  • amoxicillina
  • cefixima
  • levofloxacina

Tra questi, l’amoxicillina è il farmaco considerato di scelta per le infezioni più frequenti, come per esempio faringotonsillite o otite, ma non è quello maggiormente prescritto dai medici.

Al contrario, come sopra anticipato, la levofloxacina (antibiotico fluorochinolonico) dovrebbe essere prescritta solo in caso di infezioni gravi.

Come utilizzare gli antibiotici: ecco quando sono utili

Gli antibiotici sono utili se c’è un’infezione causata da un batterio oppure se c’è un rischio elevato che si verifichi questa possibilità. È il medico che deve valutare qual è la causa dell’infezione, spesso con l’aiuto di esami diagnostici.

L’antibiotico va, quindi, preso solo se prescritto dal medico, evitando l’automedicazione.

Bisogna attentamente seguire le indicazioni del medico riguardo alla dose, su quando assumere il farmaco (ogni quante ore) e sulla durata della terapia. Saltare le dosi o intervalli troppo lunghi possono diminuire l’efficacia e aumentare il rischio di resistenza. Anche interrompere troppo presto la terapia può favorire la resistenza dei batteri agli antibiotici.

Anche agli animali da compagnia va somministrato l’antibiotico solo se è il veterinario a prescriverlo.

Quando è meglio evitare l’uso di antibiotici?

Contrariamente a quanto si possa pensare, la maggior parte delle infezioni respiratorie non è causata da batteri, ma da virus. Questo vale per l’influenza o il raffreddore, in cui il responsabile è sempre un virus, ma anche per l’otite, la faringite o la bronchite. Nel caso di infezioni virali gli antibiotici sono inutili, se non addirittura dannosi.

Quindi, mai prendere un antibiotico perché è già disponibile in casa o perché consigliato o fornito da parenti o amici, senza consultare il medico.

Come è stato spiegato, un uso eccessivo e non adatto rende l’antibiotico sempre meno efficace, aumentando il rischio di non poter più curare infezioni che oggi si riescono a trattare.

In generale, è importante ricordarsi che le comuni norme igieniche, come il lavaggio frequente delle mani e coprire naso e bocca con un fazzoletto di carta quando si tossisce e si starnutisce, consentono di ridurre il rischio di ammalarsi e di trasmettere ad altri virus e batteri, diminuendo il ricorso, più o meno appropriato, agli antibiotici.

Quali sono gli effetti collaterali degli antibiotici?

Tra gli effetti collaterali più comuni, associati alle terapie antibiotiche, ci sono i disturbi gastrointestinali lievi, che si osservano in circa 1 persona su 10.

Tra i vari disturbi ritroviamo:

  • diarrea
  • nausea e vomito
  • gonfiore addominale
  • crampi addominali
  • perdita di appetito

In caso di effetti collaterali diversi da quelli elencati sarebbe opportuno contattare il proprio medico.

Antibiotici come le penicilline e le cefalosporine spesso provocano reazioni allergiche (soprattutto eruzione cutanea, orticaria) che si risolvono con la somministrazione di antistaminici.

Sono rarissimi i casi di reazioni allergiche più forti tanto da provocare shock anafilattico. In questo caso i sintomi iniziali sono seguiti da:

  • tachicardia
  • dispnea (difficoltà a respirare) causata da gonfiore della gola
  • attacchi di panico
  • pressione sanguigna bassa
  • giramenti di testa
  • perdita di coscienza

Appena riconosciuto uno shock anafilattico è assolutamente necessario chiamare immediatamente il 112/118.

Inoltre, durante la terapia con alcuni antibiotici (per esempio tetracicline, chinolonici) è bene non esporsi alla luce solare, in quanto la pelle diventa particolarmente sensibile.

Con quali altre sostanze possono interagire gli antibiotici?

Esistono alcune sostanze (altri farmaci o alimenti) che, interagendo con gli antibiotici, fanno perdere efficacia al farmaco.

Un farmaco che sembra possa interagire con gli antibiotici è la pillola contraccettiva. L’attività anticoncezionale può risultare ridotta in caso di assunzione insieme a farmaci in grado di alterare la flora batterica intestinale. Infatti, è proprio la flora intestinale ad essere responsabile del rilascio della forma libera del principio attivo della pillola, fondamentale per garantire l’effetto contraccettivo desiderato. Tra gli antibiotici imputati ricordiamo soprattutto quelli ad ampio spettro, come la rifampicina e la rifabutina. Per le altre classi di antibiotici il rischio sembra essere ridotto, ma non può essere escluso. Per cui se è necessario iniziare una terapia antibiotica, sarebbe opportuno assumere contemporaneamente e anche nelle quattro settimane successive, un farmaco che protegga la flora intestinale al fine di limitare il rischio di gravidanze indesiderate.

I macrolidi, invece, sono antibiotici associati al prolungamento dell’intervallo QT e al rischio di aritmie, a causa della loro intrinseca attività aritmogena. Il rischio di un tipo particolare di tachicardia ventricolare (torsioni di punta) aumenta quando i macrolidi vengono associati ad altri farmaci in grado di prolungare l’intervallo QT corretto, come gli antipsicotici, gli antiaritmici, gli antidepressivi e gli antifungini azolici. I fluorochinoloni, come i macrolidi, possono causare un prolungamento dell’intervallo QT e valgono pertanto le stesse raccomandazioni.

Il latte e i suoi derivati, ad esempio, possono compromettere l’effetto delle tetracicline e dei fluorochinoloni, agendo sull’assorbimento intestinale. La causa è da ricondurre all’interazione tra le molecole di antibiotici e gli ioni calcio e magnesio contenuti in elevate quantità nei prodotti lattiero caseari. Per evitare di perdere efficacia nella terapia antibiotica, è quindi opportuno assumere questi farmaci almeno un’ora prima o due ore dopo il latte o derivati.

Cos’è la resistenza agli antibiotici?

Quando il batterio è in grado di resistere a un antibiotico si parla di antibiotico-resistenza. Può essere naturale, oppure acquisita, quando un batterio si adatta a resistere ad un farmaco antibiotico attraverso mutazioni del proprio patrimonio genetico.


La resistenza agli antibiotici sta diventando sempre di più una minaccia per la salute della comunità, soprattutto perché sono sempre più frequenti i casi di isolamento di batteri in grado di sopravvivere a tutti gli antibiotici attualmente a nostra disposizione.

In Italia, una delle nazioni europee con il consumo più elevato, in un anno sono 11 mila i morti per infezioni resistenti agli antibiotici.

Il rischio di contrarre un’infezione resistente all’antibiotico riguarda soprattutto le persone più fragili, ricoverate in ospedale o nelle residenze per anziani. 
Ma è anche (e soprattutto) al di fuori dell’ospedale che i batteri imparano a sopravvivere agli antibiotici. Più si abusa di questi farmaci, utilizzandoli quando non servono o in modo non appropriato, più aumenta la probabilità che siano selezionati e favoriti batteri non curabili dagli antibiotici.

Purtroppo, alla resistenza agli antibiotici contribuisce anche il loro uso negli animali. 
In Europa è vietato l’uso degli antibiotici per accelerare la crescita degli animali. Non significa, però, che non ci sia un utilizzo eccessivo di questa classe di farmaci anche in ambito veterinario. Questo contribuisce al problema della farmaco-resistenza, sia per la presenza negli animali di batteri resistenti che possono essere trasmessi all’uomo (per esempio salmonella, campylobacter), sia per l’esposizione inconsapevole agli antibiotici da parte di chi consuma la carne (eventualità poco frequente, stando ai dati del Ministero della Salute sui residui presenti nella carne).

Inoltre, aumenta la probabilità che gli antibiotici possano contaminare il terreno e le falde acquifere, con ulteriori maggiori rischi di selezionare ceppi di batteri in grado di resistere a questi farmaci.

Antonio Clavenna - Laboratorio per la Salute Materno Infantile

Raffaella Gatta - Content Manager

Photo by Adam Nieścioruk on Unsplash

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