ultimo aggiornamento:
September 18, 2020

Anziani e politerapia: quali sono i rischi?

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La presa in carico e la cura dei pazienti anziani con malattie croniche multiple costituisce e rappresenta una delle maggiori sfide nei prossimi anni per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Per questo motivo c’è la necessità di comprendere e analizzare in maniera appropriata ciascun paziente singolarmente al fine di identificare le popolazioni a maggior rischio e i loro bisogni. Successivamente bisognerà individuare, pianificare, organizzare ed erogare le cure e l’assistenza (non solo sanitaria) più opportune e condivise. Negli anziani che soffrono di più disturbi contemporaneamente il risultato della frammentazione delle cure e di un approccio ancora eccessivamente orientato alle singole malattie (disease-oriented) e non al paziente (patient-oriented) porta inevitabilmente all'esposizione a politerapie.


In questo articolo cercheremo di capire come le problematiche connesse alla gestione della politerapia nel paziente anziano possano essere affrontate nella pratica clinica quotidiana.

Che cosa significa politerapia?

La parola politerapia si riferisce all'uso da parte di un singolo paziente di più farmaci contemporaneamente.

Ad oggi non esiste una definizione che abbia ottenuto un consenso univoco, sebbene il cut-off di 5 o più farmaci sia quello maggiormente utilizzato in letteratura.

Perché è importante occuparsi di politerapia nel paziente anziano e quali sono i rischi associati a un utilizzo così elevato di farmaci?

I farmaci sono per certo la forma più comune d’intervento medico per la maggior parte delle patologie acute e croniche. I dati della letteratura documentano chiaramente come la politerapia nel soggetto anziano rappresenta un fattore di rischio per sviluppare interazioni tra farmaci e reazioni avverse (ADR), per la prescrizione di farmaci inappropriati, per gli errori terapeutici e la scarsa aderenza alle terapie da parte dei pazienti, per la comparsa di malattie geriatriche e per un aumento dei costi per l’assistenza.
Da un punto di vista generale, un farmaco è considerato potenzialmente inappropriato quando il rischio di sviluppare eventi avversi supera il beneficio atteso, soprattutto se è disponibile un’evidenza scientifica a supporto di un’alternativa di trattamento più sicura e/o efficace per la stessa condizione-indicazione clinica.

Politerapia: appropriata o inappropriata?

Quando si parla di politerapia è importante considerare un'altra distinzione: quando è appropriata e quando invece non lo è. La valutazione dell’appropriatezza prescrittiva nel paziente anziano in politerapia andrebbe sempre effettuata quando si interviene sulla terapia farmacologica saltuariamente o periodicamente, o comunque almeno ogni 6-12 mesi, oppure ogni qualvolta si passa da un contesto di cura ad un altro.
Per comprendere meglio questo concetto, proponiamo la testimonianza di una paziente di 83 anni e la sua difficile gestione “in solitaria” della politerapia. Questo caso è stato recentemente pubblicato sulla rivista Jama Internal Medicine nella sezione “Teachable Moment”.

Una mattina la signora Maria viene portata in pronto soccorso dalla sua vicina di casa in quanto accusava vertigini e palpitazioni. Dall’anamnesi si viene a conoscenza che soffre di fibrillazione atriale e insufficienza cardiaca, e che quello è il suo terzo ricovero negli ultimi 6 mesi, in seguito ad uno scarso controllo della fibrillazione atriale. Purtroppo la signora non segue quotidianamente quanto prescritto ma grazie al ripristino della terapia antiaritmica si ottiene il recupero della normale frequenza cardiaca, e viene dimessa il giorno successivo. Sfortunatamente due giorni dopo essere tornata a casa, la signora viene di nuovo portata in pronto soccorso per un episodio di perdita di coscienza dopo aver assunto per sbaglio una doppia dose di farmaco. Ricoverata in terapia intensiva, viene sottoposta a monitoraggio cardiaco e, recuperato il ritmo cardiaco normale, viene trasferita nel reparto di medicina.

Dall’anamnesi farmacologica risulta che un trattamento con 11 farmaci diversi e, al momento della dimissione infatti, la signora esprime ai medici la sua angoscia e preoccupazione su come farà a gestire tutte le terapie in atto. Vivendo da sola spesso fa confusione e ha difficoltà ad assumere correttamente le medicine nel corso della giornata. D’accordo con i famigliari, il regime terapeutico le viene, quindi, semplificato.


Una politerapia è, quindi, appropriata quando:

  • tutti i farmaci sono prescritti al fine di raggiungere specifici obiettivi terapeutici discussi e concordati con il paziente;
  • si pensa che gli obiettivi terapeutici saranno raggiunti in un tempo plausibile;
  • la terapia farmacologica è stata ottimizzata per ridurre al minimo il rischio di reazioni avverse da farmaci (ADR);
  • il paziente è motivato e in grado di assumere tutte le medicine come previsto.

Una politerapia è, invece, inappropriata quando:

  • ad uno stesso paziente sono prescritti più farmaci in assenza di evidenze scientifiche di efficacia;
  • il beneficio previsto del farmaco non viene raggiunto;
  • i rischi superano i benefici;
  • è necessario prescrivere una combinazione di farmaci pericolosa oppure la richiesta complessiva di assunzione di farmaci è inaccettabile per il paziente.

Politerapia in letteratura e progetto REPOSI

Sono numerosi gli studi in letteratura che hanno valutato in diversi contesti e popolazioni la prevalenza della politerapia nei pazienti anziani. I dati dell'ultimo rapporto OsMED sull'uso dei farmaci in Italia nel 2017, ottenuti utilizzando come metodo di ricerca il numero medio di sostanze prescritte per soggetto/per anno, mostrano i seguenti risultati:

  • gli anziani di entrambi i sessi sono esposti a un numero medio di 9,7 principi attivi diversi;
  • il numero di farmaci nella fascia di età 65-69 anni è 7,7 mentre di età pari o superiore agli 85 anni è 11,8;
  • oltre il 64% degli anziani ha ricevuto nel corso del 2017 la prescrizione di almeno 5 sostanze;
  • il 22% dei soggetti di età pari o superiore ai 65 anni assume almeno 10 principi attivi diversi, suggerendo, quindi, un frequente ricorso alla politerapia.


Dal 2008 l’Istituto Mario Negri ha dato il via al progetto REPOSI, uno studio collaborativo indipendente condotto insieme alla Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) e alla Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. Il progetto descrive la prevalenza delle polipatologie e delle politerapie al momento del ricovero, alla dimissione dal reparto e a 3 e 12 mesi dopo la dimissione, valutando i fattori di rischio clinico-epidemiologici, funzionali e cognitivi in relazione alla polipatologia e alla politerapia nelle diverse tipologie di pazienti ospedalizzati. Allo studio partecipano oltre 100 reparti di medicina interna e geriatria, distribuiti su tutto il territorio nazionale: sono stati, infatti, reclutati oltre 7.000 pazienti e sono stati già prodotti oltre 40 articoli scientifici. Riguardo al setting ospedaliero della medicina interna, i dati del Registro REPOSI hanno evidenziato una prevalenza d'uso della politerapia (definita come l’esposizione contemporanea a 5 o più farmaci) del 52% all'ingresso in reparto che saliva fino al 67% al momento della dimissione. Queste prevalenze sono cresciute quasi sempre nel corso dei 10 anni di cui sono disponibili i dati del registro.

Che cosa significano polimorbilità e multimorbilità?

Dagli anni ’80 è stato introdotto il termine polimorbilità e, nonostante siano ormai passati quasi 40 anni, non è stata ancora trovata una definizione univoca. La più accettata in letteratura è quella che tiene conto solo della presenza di almeno due patologie croniche. La mancanza di consenso comporta anche una difficoltà nel definirne la prevalenza nelle diverse popolazioni, dove si hanno stime che variano dal 20% al 30%. Negli ultimi 30-40 anni, la riduzione della mortalità da un lato insieme all’aumento dell’aspettativa di vita dall’altro hanno portato ad un incremento sostanziale del numero di persone che nel corso della loro esistenza tendono ad accumulare più patologie croniche. Quando queste patologie non sono direttamente collegate tra di loro si parla di multimorbilità invece quando i disturbi sono dipendenti tra di loro si parla di comorbilità.
Per gli over 65 la prevalenza di multimorbilità è maggiore: questo fenomeno, in aumento, si sta riscontrando negli ultimi decenni anche tra le popolazioni dei paesi a basso e medio reddito. L’impatto negativo della multimorbilità sull’efficienza di un individuo, e sui costi sanitari conseguenti, è maggiore di quanto ci si aspetterebbe dalla somma degli effetti delle singole malattie croniche. Le diverse patologie, infatti, interagiscono tra loro e aumentano in maniera sinergica le complicanze cui deve far fronte il clinico, portando alla creazione di veri e propri nuovi fenotipi di malattie.

anziani e politerapia

Ma perché è importante occuparsi di politerapia nel paziente anziano e quali sono i rischi associati a un utilizzo così elevato di farmaci?

La terapia farmacologica può essere molto efficace nel prevenire le malattie o rallentarne la progressione. Tuttavia, c'è spesso una discrepanza tra la prescrizione secondo le linee guida per ciascuna delle specifiche patologie e la complessità clinica dei diversi pazienti. Per pazienti complessi con multimorbilità e fragilità, o soggetti con demenza, l’applicazione oggettiva della somma delle singole raccomandazioni può non essere razionale, aumentando così il rischio di eventi avversi e non in linea con le preferenze del paziente.
Come ben documentato in un articolo di Garfinkel & Mangin del 2010 "negli anziani la stessa politerapia dovrebbe essere percepita come una malattia, con conseguenze e complicazioni spesso più gravi delle stesse malattie per cui i diversi farmaci sono stati prescritti". Oltre ai problemi farmaco-correlati, la politerapia nel paziente anziano è stata associata anche a un aumentato rischio di perdita dell'autonomia funzionale, deficit cognitivo, fragilità, ospedalizzazione e mortalità.

Dunque, i principali rischi associati alla politerapia possono essere così riassunti:

  • aumento del rischio di interazioni tra farmaci e di reazioni avverse a farmaci (ADR);
  • esposizione a farmaci potenzialmente inappropriati;
  • mancata prescrizione di farmaci potenzialmente utili;
  • scarsa aderenza terapeutica;
  • deterioramento funzionale e cognitivo;
  • aumento del rischio di sindromi geriatriche (stato confusionale acuto, cadute, incontinenza urinaria, disturbi del comportamento, disturbi alimentari, fragilità);
  • aumento del rischio di ospedalizzazione, istituzionalizzazione e mortalità;
  • aumento dei costi assistenziali

Alessandro Nobili e Luca Pasina - Laboratorio di Valutazione della Qualità delle Cure e dei Servizi per l'Anziano

Editing Raffaella Gatta - Content Manager

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