ultimo aggiornamento:
28/7/2023
April 7, 2021

ADHD: il disturbo da deficit di attenzione/iperattività

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Che cos’è l’ADHD?

ADHD sta per Attention Deficit Hyperactivity Disorder, in italiano Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività.

Si tratta di un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da sintomi ben definiti e continui come:

  • difficoltà di prestare attenzione e mantenere la concentrazione;
  • comportamenti impulsivi;
  • irrequietezza fisica.

Alcuni ambiti della vita quotidiana, come la scuola e le amicizie, sono significativamente influenzati da questo disturbo, che in Italia affligge circa il 2% dei bambini, soprattutto maschi.

Di ADHD non soffrono solamente i ragazzi ma anche gli adulti: oltre due terzi degli adolescenti, a cui è stato diagnosticato questo disturbo in età infantile, continua a presentare i sintomi anche in età adulta con conseguenze nella vita famigliare, di coppia e lavorativa.

ADHD: i sintomi di questo disturbo da deficit di attenzione/iperattività

L'ADHD viene definito come “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo”, secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (uno strumento utilizzato dai medici per diagnosticare disturbi mentali).


I sintomi dell'ADHD che si presentano prima dei 7 anni di età e perdurano per almeno 6 mesi sono:

  • disattenzione
  • iperattività
  • impulsività.

Oltre a questi, possono manifestarsi anche:

  • difficoltà a concentrarsi;
  • difficoltà nell'ascolto;
  • eccesiva vivacità e attività;
  • estrema distrazione;
  • irascibilità;
  • impazienza;
  • difficoltà di apprendimento.

Questi sintomi tipici dell'ADHD devono manifestarsi in più di una circostanza (casa, lavoro o scuola), e a seconda della circostanza, appunto, possonno variare, dividendosi in tre sotto-tipi di disturbo:

  • manifestazione combinata, tipica dell'età evolutiva e caratterizzata da una combinazione di disattenzione e di iperattività-impulsività;
  • manifestazione con disattenzione predominante, i cui sintomi sono riconducibili soprattutto alla sola disattenzione, tanto che spesso genitori e insegnanti tendono a trascurare la sintomatologia;
  • manifestazione con iperattività-impulsività predominanti, in cui la maggior parte dei sintomi appartengono a iperattività e impulsività.

Quali sono le cause dell’ADHD?

Le cause dell’ADHD possono essere di natura:

  • genetica
  • neurobiologica
  • ambientale.

Studi di genetica che hanno coinvolti i bambini hanno mostrato l’esistenza di un’associazione tra l’ADHD e alcuni geni. Ad esempio, un’alterazione nel gene responsabile della produzione di un neurotrasmettitore (dopamina) potrebbe essere una delle cause di questo disturbo: la dopamina è quella sostanza che veicola le informazioni fra i neuroni e, quindi, è alla base di molti processi cognitivi, come ad esempio attenzione e memoria.

Nonostante non vi siano ancora evidenze scientifiche consistenti, la maggior parte dei farmaci utilizzati per curare l’ADHD, infatti, aumenta l’efficacia dell’attività della dopamina nella comunicazione tra neuroni, aiutando così il paziente a prestare maggiore attenzione.

Ulteriori studi hanno dimostrato anche la familiarità del disturbo: un bambino affetto da ADHD ha 4 volte più probabilità di avere un parente con la stessa malattia; così come un terzo dei padri che soffrono di ADHD ha un figlio con lo stesso disturbo.

Esistono poi alcuni fattori ambientali che sono associati all’ADHD, in particolare fattori di rischio prenatali, come:

  • esposizione prolungata a fumo di sigaretta;
  • assunzione di alcool o droga in gravidanza;
  • ipertensione;
  • stress;
  • complicanze durante il parto;
  • nascita pretermine;
  • basso peso alla nascita.

Tali fattori non causano in maniera diretta questo disturbo ma possono favorire la comparsa di alterazioni nei geni, che portano poi all’insorgenza dell’ADHD.

Le cause di natura neurobiologica che possono causare la comparsa dell’ADHD sono difetti nella struttura e nel funzionamento della parte frontale del cervello, responsabile di processi cognitivi primari come la pianificazione e l’organizzazione dei comportamenti, l’attenzione e il controllo inibitorio. I deficit strutturali possono poi interessare anche la regione cerebrale che regola le emozioni (limbo) e una parte del sistema nervoso che regola la comunicazione all’interno del cervello (gangli). Tutte queste regioni cerebrali sono interconnesse tra di loro e, quindi, un deficit anche in una sola di esse potrebbe originare il disturbo.

Come viene effettuata la diagnosi di ADHD?

Sono tanti gli strumenti utilizzati dal medico che si occupa di questo disturbo, ovvero il neuropsichiatra infantile, per diagnosticare l’ADHD:

  • colloqui riguardanti la storia clinica del paziente;
  • esami neurologici volti a valutare lo stato mentale del paziente, come anche il suo sistema motorio, la sua forza muscolare, la sua coordinazione e i suoi riflessi;
  • valutazione delle abilità cognitive, e cioè di tutti quei processi attraverso i quali una persona percepisce, registra, mantiene, recupera, manipola, usa ed esprime informazioni per qualsiasi compito che affrontiamo ogni giorno;
  • colloqui volti a valutare i disturbi mentali e le patologie connesse, riguardo ad ansia, umore e alimentazione;
  • questionari relativi al comportamento del bambino, compilati dai genitori e dall’insegnante;
  • questionari circa una valutazione globale della gravità del disturbo compilato dal neuropsichiatra.

Le visite di follow-up devono essere effettuate ogni 6 mesi.

A quali altri disturbi si associa l’ADHD?

Il 72% dei bambini con ADHD presenta altre patologie psichiatriche tra cui disturbi dello spettro autistico (ASD, autism spectrum disorders), dislessia (difficoltà nella lettura) e disturbo oppositivo provocatorio (problemi di autocontrollo, rabbia e irritazione).

La presenza di più patologie, o comorbilità, rende difficile la diagnosi di ADHD, contribuendo al suo mancato riconoscimento tempestivo. Il disturbo, quindi, non riuscirà ad essere trattato in età pediatrica, ripresentandosi anche in età adulta.

A complicare la diagnosi di ADHD è poi la presenza di sintomi comuni ad altre patologie che portano ad escludere il disturbo dell’attenzione e dell’iperattività oppure a considerarlo secondario. Crescendo, gli stimoli ambientali aumentano e questo fa sì che il ragazzo affetto da ADHD ha difficoltà ad organizzarsi, manifestando quindi ansia, depressione e disturbi del sonno.

L’isolamento, l’aggressività e la rabbia sono alcune delle conseguenze di questo disturbo, a cui si può rimediare una volta cresciuti utilizzando alcuni farmaci che tengono sotto controllo i sintomi.

Quali sono i trattamenti per curare l’ADHD?

I trattamenti per l’ADHD si dividono in farmacologici e non-farmacologici.

I trattamenti farmacologici sono utilizzati per curare i casi più difficili: il farmaco prescritto (solitamente metilfenidato o atomoxetina) agisce direttamente sulla funzionalità del cervello, che nel caso di un bambino è ancora in via di sviluppo.

Dopo un’approfondita indagine sulla storia clinica e medica del paziente, il medico specializzato in neuropsichiatria infantile avrà il compito di capire:

  • quando è necessario prescrivere il farmaco;
  • se il paziente presenta anche altri disturbi (comorbilità);
  • qual è la compromissione della vita quotidiana attribuibile al disturbo.

I trattamenti non farmacologici, invece, prediligono un approccio multimodale, che coinvolge i genitori (parent training), i bambini (child training) e gli insegnanti (teacher training). Le terapie digitali sono spesso utilizzate per curare questo disturbo: Endeavor, ad esempio, è il primo videogioco sviluppato a scopo terapeutico per bambini affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività.

Bambini e ADHD: come si relaziona questo disturbo nei bambini?

I bambini che soffrono di ADHD hanno spesso difficoltà ad organizzarsi con i compiti e con le altre attività extra-scolastiche.

Inoltre, non riescono a mantenere in ordine materiali e oggetti, eseguono compiti in maniera disordinata e disorganizzata, gestendo male il tempo e non riuscendo a rispettare le scadenze.

Per questo motivo, il modo più giusto in cui un genitore/insegnante dovrebbe comportarsi prevede innazitutto osservare i comportamenti del figlio, cercando di non giudicarlo. Poi dovrà cercare di dare al proprio bambino delle regole, poche ma chiare e meglio se in positivo. Infine, è importante cercare di "premiare" il bambino per i traguardi comportamentali raggiunti, anche se parziali.

Quali sono gli studi dell’Istituto Mario Negri nella ricerca sull’ADHD?

Nel 2007 l’Istituto è stato coinvolto nella stesura del registro italiano per persone affette da ADHD in trattamento farmacologico.

Successivamente, nel 2011, con il contributo della Regione Lombardia è stato attivato il Registro Lombardo dell’ADHD nell’ambito del progetto “Condivisione dei percorsi diagnostico-terapeutici per l’ADHD in Lombardia”.

Il Registro consente, quindi, di:

  1. monitorare i percorsi diagnostici;
  2. delineare la prevalenza del disturbo;
  3. monitorare i percorsi terapeutici anche non farmacologici;
  4. mantenere l’iniziativa di farmacovigilanza estendendo il monitoraggio dell’uso dei farmaci anche a farmaci diversi da quelli specifici;
  5. quantificare il carico di lavoro dei Centri di Riferimento.

Il registro, quindi, è un vero e proprio registro di malattia: al suo interno sono raccolte informazioni relative non solo ai pazienti con diagnosi di ADHD in trattamento farmacologico (come previsto dal Registro Nazionale) ma anche a quelli che afferiscono al Centro di Riferimento con sospetto ADHD.

Al 28 Febbraio 2021 sono stati inseriti 6.157 pazienti di cui 4.068 con diagnosi accertata, 1.833 a cui non è stato riscontrato l’ADHD e 256 ancora in corso di valutazione. La maggior parte delle segnalazioni ai Centri di Riferimento è arrivata dalla scuola (31%) e poi dai genitori (16%).

Dei 4.068 pazienti a cui è stato diagnosticato l’ADHD, la maggior parte (82%) riceve solo una terapia psicologica, mentre al 18% è stato prescritto anche un farmaco, quasi sempre come trattamento combinato con gli interventi di tipo comportamentale.

Le comorbilità più frequentemente riscontrate sono state: i disturbi dell’apprendimento (39%), il disturbo oppositivo/provocatorio (15%) e i disturbi del sonno (14%).
A partire dai dati del registro è stato possibile condurre studi specifici sulle caratteristiche dei pazienti, sui costi relativi alla diagnosi e al trattamento e sull’efficacia dei trattamenti.

Inoltre, i ricercatori del Dipartimento di Epidemiologia medica hanno condotto anche indagini volte ad analizzare la transition, ovvero la fase di passaggio dai servizi per l’infanzia ai servizi per l’adulto affetto da ADHD.

Un’attenta revisione della letteratura ha preceduto il coinvolgimento degli operatori dei Centri di Riferimento e dei genitori dei pazienti allo scopo di conoscere la loro esperienza e di mettere in luce eventuali ostacoli in tale processo così come i potenziali bisogni degli attori coinvolti. Tutto questo è oggetto di uno studio nazionale che coinvolgerà neuropsichiatri, pazienti e famiglie nel prossimo triennio.

Il periodo storico caratterizzato dalla pandemia Covid-19 ha spinto i ricercatori a valutare l’esperienza dei bambini affetti da ADHD con la didattica a distanza (DaD). In collaborazione con l’UONPIA dell’ASST Santi Paolo e Carlo sono state intervistate le mamme dei bambini, seguiti dal polo specialistico.

Successivamente è stato condotto uno studio in cui un gruppo di bambini affetti da ADHD è stato confrontato ad un gruppo di bambini che non sono affetti dal disturbo. I dati emersi purtroppo non sono rassicuranti: è ancora poca l’attenzione dedicata a certe situazioni di fragilità, anche in ambienti in cui tale attenzione dovrebbe essere scontata, come quello scolastico.

I risultati di questi studi suggeriscono che c’è ancora molto lavoro da fare per aumentare la conoscenza e la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti di ragazzi affetti da sindrome da deficit di attenzione e iperattività: solo in questo modo si potrà rispondere ai bisogni dei bambini e delle loro famiglie in maniera più completa.

Antonio Clavenna e Francesca Scarpellini - Laboratorio di Epidemiologia dell'età evolutiva - Dipartimento Epidemiologia medica

Maurizio Bonati - Senior Advisor Dipartimento Epidemiologia medica

Raffaella Gatta - Content manager

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