Data prima pubblicazione
November 11, 2020

Coronavirus e vaccino antinfluenzale: c'è protezione?

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Partiamo da questo concetto: qualsiasi tipo di vaccino è protettivo per il nostro organismo e non solo nei confronti dell’agente infettivo contro cui ci vacciniamo. Che sia la vaccinazione per la poliomielite, per lo pneumococco o per la tubercolosi. Oppure che sia la vaccinazione per ottenere immunità dalla varicella, dalla parotite, dal morbillo o dalla rosolia.

Come ha affermato il Prof. Remuzzi, tutti questi vaccini garantiscono una protezione del 30-40%. La cosa importante è che non deve essere trascorso troppo tempo dall’ultima vaccinazione per far sì che abbiano ancora efficacia.

La domanda che tanti oggi ci stiamo facendo è: il vaccino per l'influenza aiuta a proteggerci dal Covid-19?

Purtroppo, il vaccino antinfluenzale non è di certo quello più efficace contro la malattia causata dal nuovo coronavirus, come speravamo. E allora cosa possiamo fare?

“La prima difesa è fare vaccini che già abbiamo”.

Grazie ai vaccini, infatti, sono tante le vite oggi risparmiate a malattie mortali come ad esempio il vaiolo. Dati derivanti da ricerche e da osservazioni cliniche, dimostrano che esistono parecchi vaccini utili a proteggersi non solo da una determinata patologia; infatti, la vaccinazione rappresenta un buon allenamento per il sistema immunitario, che fa “training” per imparare a combattere ogni tipo di infezione.

Un vaccino è capace di far produrre all’organismo in cui viene somministrato non solo anticorpi specifici per colpire un preciso microrganismo, ma è anche capace di far rafforzare l'intero esercito personale di anticorpi.

A sostegno di questo ragionamento c'è l’evidenza che, durante questa pandemia da Covid-19, la fascia d’età meno colpita è stata quella dei bambini che, fin dai primi mesi di vita, sono ciclicamente vaccinati contro diversi agenti infettivi.

Come funziona l’immunità?

L’ingresso nel corpo di un qualsiasi microrganismo fa sì che si attivi un efficiente sistema di difesa, chiamato sistema immunitario.

Il sistema immunitario si distingue in:

  • innato, che è presente fin dalla nascita e che per primo si attiva per eliminare la minaccia esterna;
  • acquisito, che è capace di neutralizzare l’agente patogeno in collaborazione col sistema innato.

L’immunità di ognuno di noi si costruisce e si arricchisce anno dopo anno, grazie all’incontro continuo con svariati agenti nocivi. Man mano che questi incontri avvengono, il sistema immunitario produce delle cellule capaci di ricordare i virus e i batteri con cui si è venuti a contatto (anticorpi della memoria o IgG), così da essere pronti a rispondere ancora ad un loro eventuale nuovo attacco.

Il meccanismo alla base di ogni vaccinazione è più o meno lo stesso, in quanto sfrutta proprio l'immunità acquisita. In realtà studi recenti evidenziano che certi vaccini siano in grado di rinforzare anche l'immunità̀ innata.

Alcune vaccinazioni conferiscono un'immunità che dura per tutta la vita (come quella contro il morbillo, la varicella o la poliomielite). Altre, invece, necessitano di richiami. Un esempio è il vaccino contro l’agente patogeno del tetano e della pertosse. La spiegazione è che così come noi invecchiamo, lo fa anche il nostro sistema immunitario, che pian piano perde la memoria. È, quindi, necessario che alcuni vaccini vengano ripetuti ogni 10 anni, dai 19 anni in su, per avere di nuovo un'immunità contro determinati patogeni.

Quali sono i vaccini già disponibili che potrebbero essere utili contro Covid-19?

Alcuni studi di tipo epidemiologico hanno osservato una diminuzione del rischio di ammalarsi di Covid-19 in persone con una storia recente di vaccinazione. Si tratta di studi con limiti metodologici e i cui risultati non sono ancora conclusivi.

Ad esempio, uno studio americano retrospettivo ha analizzato 18 diversi vaccini (tra cui antipolio, Haemophilus influenzae tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, coniugato pneumococcico, influenza geriatrica e vaccini anti-epatite A e B): è emerso che le persone vaccinate di recente (da 1 a 5 anni prima) manifestavano tassi di infezione da SARS-CoV-2 più bassi. Per questo motivo, questi vaccini possono essere considerati promettenti, in attesa dei risultati degli studi preclinici e clinici. La tabella mostra i risultati dell’analisi esplorativa riguardante la riduzione percentuale del rischio di infezione da nuovo coronavirus nelle persone che si sono sottoposte alle vaccinazioni elencate rispetto a quelle che invece non le hanno fatte. 

Inoltre, tra i vaccini disponibili, uno con un'efficacia potenzialmente maggiore è quello contro la tubercolosi, contenente il bacillo di Calmette Guerin, variante del bacillo della tubercolosi che colpisce i bovini ma non l'uomo. Questo vaccino è conosciuto per fornire una risposta immunitaria di tipo aspecifico e sono in corso studi clinici di tipo randomizzato (cioè con assegnazione casuale del trattamento) per valutare la sua efficacia nella prevenzione di Covid-19.
Anche per il vaccino antipneumococco e quello antinfluenzale è stata segnalata (con i limiti sopra riportati) una potenziale efficacia nel ridurre il rischio di infezione.
Una vaccinazione altamente consigliata negli over 65, soprattutto quest’anno durante la pandemia di Covid-19, è quella contro lo pneumococco, un potente agente patogeno che colpisce le vie respiratorie. Lo pneumococco è un batterio molto diffuso, capace, soprattutto nelle persone anziane o con alcune malattie croniche cardiache, polmonari o con ridotta risposta immunitaria, di portare a complicazioni gravi come polmoniti e meningiti.

L'antinfluenzale: che tipo di protezione offre?

Con l’avanzare della diffusione del Covid-19, sono in tanti gli scienziati e i medici che consigliano caldamente di sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale. I motivi principali sarebbero:

  • evitare la sovrapposizione di più complicazioni, evento che potrebbe solo ritardare o rendere più difficile la guarigione;
  • evitare per quanto possibile un sovraccarico per il servizio sanitario, cercando di ridurre il numero di visite, di ricoveri etc.

L'influenza in particolare è sotto i riflettori perché considerata una vera minaccia per le persone fragili e per gli anziani. Affinché sia del tutto efficace, però, il vaccino antinfluenzale va fatto tutti gli anni dal momento in cui si inizia. I virus, infatti, sono microrganismi il cui materiale genetico (DNA o RNA) è parecchio instabile. Quando si riproducono (e per farlo hanno bisogno di un organismo ospite), creano tantissime copie del loro DNA o RNA. Più sono le copie create, più è alta la probabilità che facendolo abbiano introdotto degli errori, chiamate mutazioni. Queste piccole variazioni nel loro materiale genetico producono proteine diverse rispetto a quelle incontrate anno dopo anno e verso cui i nostri anticorpi avevano già combattuto, memorizzandole come corpi estranei o antigeni.

L’antinfluenzale è davvero utile nella lotta al Covid-19?

Con l’arrivo dell’autunno, influenza, sindromi para-influenzali e Covid-19 circoleranno contemporaneamente. La cosa che più preoccupa è l’aumento del carico di lavoro del personale sanitario con conseguente maggiore dispendio di risorse sanitarie, economiche e sociali.

La sovrapposizione dei sintomi influenzali con quelli del Covid-19, come febbre, tosse e dolori muscolari, fanno temere di non riuscire a distinguere una malattia dall’altra a scapito di diffondere inconsapevolmente il contagio da coronavirus.

Ci sono in realtà alcuni sintomi che più si ricollegano al Covid-19: primo fra tutti la perdita di gusto e olfatto (anosmia). Ma per essere certi della diagnosi bisogna per forza effettuare un tampone molecolare.

Da qui l’importanza di prevenire o quanto meno ridurre il più possibile la circolazione dell’influenza tramite vaccinazione antinfluenzale, allo scopo di riuscire a ridurre il sovraccarico sul sistema sanitario nazionale e di preservare la salute delle categorie a rischio (persone fragili e anziani) per entrambe le infezioni.

È utile sottolineare che, indipendentemente dalla pandemia da Covid-19, ogni anno influenza e sindromi para-influenzali colpiscono in media il 9% dell’intera popolazione. La fascia d’età più colpita è quella dei bambini e dei ragazzi (0-14 anni). Questo perché adulti e anziani, nel corso della loro vita, hanno già incontrato più volte i virus influenzali sviluppando, quindi, un'immunità. L’obiettivo di quest’anno particolare è quello di allargare l’offerta del vaccino anche ad altre fasce d’età (per esempio adulti tra 60 e 64 anni, bambini di età inferiore ai 6 anni) per contenere quanto più possibile la diffusione del virus influenzale.

In generale l’efficacia di un vaccino antinfluenzale è associata a diversi elementi:

  • l’entità dell’epidemia dell’anno in cui lo studio è stato effettuato;
  • la corrispondenza tra i ceppi inseriti nella formulazione del vaccino testato e quelli che effettivamente circolavano;
  • l’età e lo stato di salute del vaccinato.

In parole semplici, si valuta l’efficacia prevalentemente sulla base della diminuzione delle visite ambulatoriali “per influenza”. Raccomandare quindi il vaccino antinfluenzale solo perché questo si traduce in una sostanziale riduzione del carico di malattia è una forzatura.

È importate ribadire che, per quanto ci si possa attendere che il vaccino antinfluenzale aiuti nell’eseguire una diagnosi differenziale dal Covid-19, nei prossimi mesi invernali, durante il “picco” dell’influenza stagionale, la maggior parte dei ricoveri non sarà a causa del virus dell’influenza, ma a causa dell’insieme di più patologie respiratorie provocate da diversi virus (rinovirus, virus sinciziale, coronavirus e altri). Quindi, ci auguriamo che, grazie alla vaccinazione contro l’influenza, il SSN sarà meno sovraccaricato.

Non solo, se tutti continuiamo ad indossare le mascherine correttamente, è possibile che si riesca a contenere sia la diffusione del Covid-19 sia quella dei virus influenzali e para-influenzali.

Esistono infatti evidenze che con la pandemia altri germi che causano malattie acute delle vie respiratorie superiori siano quasi “scomparsi”: in Argentina, durante l’inverno appena trascorso, i casi di influenza sono drasticamente diminuiti e questo è stato attribuito non alla vaccinazione antinfluenzale ma al fatto che la circolazione dei patogeni che causano infezioni acute delle vie respiratorie sia drasticamente diminuita, grazie proprio a mascherine, igiene delle mani e distanziamento fisico. Lo stesso è accaduto anche in Australia, in Corea del Sud, in Giappone e in Nuova Zelanda.

Serve allora vaccinarsi contro l’influenza?

Le regole igieniche (lavaggio mani, buona igiene respiratoria e isolamento volontario di persone con sintomi respiratori) rappresentano accorgimenti da adottare sempre, indipendentemente dalla stagione e dal Covid-19. Solo in questo modo si può prevenire e ridurre il contagio e la diffusione di infezioni respiratorie.

La vaccinazione antinfluenzale stagionale è quindi un intervento extra da attuare in determinate condizioni, seppur con limitata efficacia rispetto alle aspettative. Resta caldamente consigliata, insieme alla vaccinazione contro lo pneumococco, agli over 65 e a quelle persone considerate fragili per condizione di vita e di salute, agli operatori sanitari e a tutte le persone che lavorano a stretto contatto con gli altri, come insegnanti o personale di aziende di trasporto.

Raffaella Gatta - Content Manager

In collaborazione con Antonio Clavenna - Capo Unità di Farmacoepidemiologia - Laboratorio Salute Materno Infantile - Dipartimento di Salute Pubblica

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