Il digiuno, inteso come strumento terapeutico, non è una novità. Già nel V secolo a.C., il medico e filosofo greco Ippocrate lo prescriveva per una serie di patologie.
Il digiuno intermittente, in particolare, ha conosciuto negli ultimi anni una sorprendente popolarità, catturando l’attenzione non solo di chi desidera perdere chili di troppo - basti pensare che nel 2023 almeno un adulto su 10 lo ha provato negli Stati Uniti - ma anche della comunità scientifica, che ne ha fatto l’oggetto di centinaia di studi in tutto il mondo.
Ma quali sono gli effettivi benefici, oltre a quelli legati alla perdita di peso o alla restrizione calorica? E quali, invece, i rischi?
Per capire come si è arrivati a parlare di “digiuno intermittente” dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Siamo nel 1990, quando il ricercatore Ronald Hart - che studia invecchiamento, nutrizione e salute presso il National Center for Toxicological Research a Jefferson, in Arkansas - fa un'osservazione cruciale.
Hart nota che i topi sottoposti a restrizione calorica, ma alimentati una sola volta al giorno, consumano tutto il cibo in poche ore, rimanendo quindi a digiuno per circa 20 ore, con benefici significativi per la longevità. Ipotizza che non sia solo la riduzione delle calorie a prolungare la vita degli animali, ma anche i periodi di digiuno che innescano una serie di meccanismi di adattamento cellulare come:
L’intuizione dello scienziato contribuisce a spostare l'attenzione scientifica verso i potenziali benefici dei periodi di digiuno, aprendo la strada alla ricerca moderna sul digiuno intermittente.
Il digiuno intermittente è un regime alimentare che prevede l’astensione dal cibo limitata a specifiche finestre temporali nell’ambito delle 24 ore, declinata in varie forme. Il più popolare è il digiuno 16:8, che consiste nel digiunare 16 ore e concentrare tutti i principali pasti nelle 8 ore rimanenti.
Il "digiuno intermittente" si può declinare in varie modalità, diete diverse che includono ripetuti periodi di assunzione di calorie pari a zero o bassissime.
Le più comuni sono:
Su una cosa i ricercatori sono concordi: il digiuno intermittente aiuta a perdere peso. E la perdita di peso generalmente comporta miglioramenti della salute, tra cui una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e diabete.
Diversi gli studi che lo dimostrano. Uno fra i più citati è quello di Krista Varady, Docente di Nutrizione presso l'Università dell'Illinois a Chicago, che ha confrontato per un anno il digiuno intermittente 16:8 con una classica dieta ipocalorica basata semplicemente sul conteggio delle calorie.
I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica Annals of Internal Medicine, suggeriscono che il digiuno intermittente funziona semplicemente perché fa mangiare di meno - proprio come qualsiasi altra dieta. "Sulla base delle attuali prove scientifiche sull'uomo, non credo che il digiuno intermittente abbia altri benefici oltre alla perdita di peso", ha commentato la ricercatrice.
Ci sono studi che suggeriscono come il digiuno intermittente possa migliorare la sensibilità all'insulina, un ormone prodotto dal pancreas che svolge un ruolo cruciale nel metabolismo degli zuccheri (glucosio) e nel mantenimento dei livelli di zucchero nel sangue (glicemia) entro limiti normali. Quando le nostre cellule rispondono bene all'insulina, possono utilizzare il glucosio nel sangue per produrre energia, mantenendo così la glicemia stabile e prevenendo squilibri metabolici.
Uno studio del 2018 guidato dalla ricercatrice Courtney Peterson, ad esempio, ha mostrato a questo proposito risultati interessanti: consumando tutti i pasti entro sei ore prima delle 15:00, si sono ottenuti miglioramenti nella sensibilità all'insulina, nella pressione sanguigna e nella riduzione dello stress ossidativo (indicatori di una migliore salute cardiaca), rispetto a un'alimentazione distribuita su 12 ore.
Sono risultati che vanno tuttavia presi con cautela. Si tratta di uno studio che presenta dei limiti importanti: solo 8 persone hanno portato a termine l’esperimento, che è durato poche settimane e ha coinvolto un gruppo di persone con caratteristiche precise (uomini sovrappeso con prediabete).
Le prime prove del potenziale effetto protettivo del digiuno intermittente sul cervello risalgono al 1999, quando il neuroscienziato Mark Mattson e il suo team dimostrano che il digiuno a giorni alterni protegge i roditori dai danni cerebrali associati a malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, e lesioni cerebrali acute come l’ictus.
I ricercatori hanno scoperto che il digiuno aumenta la produzione di β-idrossibutirrato, un corpo chetonico che non solo fornisce energia al cervello, ma ha anche proprietà neuroprotettive, riducendo l'infiammazione e lo stress ossidativo che danneggiano i neuroni.
Studi sui topi hanno inoltre mostrato che il digiuno intermittente può migliorare funzioni cognitive come:
Anche se i risultati sono promettenti, molti di questi studi sono stati condotti su animali, quindi c'è ancora molto da capire su come questi effetti possano tradursi sull’uomo.
Il digiuno intermittente, spesso associato a benefici per la salute del cuore (considerati anche come effetto secondario legato alla perdita di peso) potrebbe invece non far bene come promette. In base all'analisi presentata a un meeting dell'American Heart Association che ha preso in considerazione i dati sanitari e le abitudini alimentari di 20.000 americani sarebbe infatti vero il contrario: chi mangia in finestre ristrette di 8 ore avrebbe un rischio di morte per malattie cardiovascolari molto più elevato di chi si nutre nell’arco di 12-16 ore al giorno.
Si tratta di un’analisi che presenta i suoi limiti: come quello di essersi affidata ai ricordi dei partecipanti (e non a strumenti di valutazione più rigorosi) per determinare la loro dieta tipica, e di non aver preso in considerazione altri fattori che potessero influire sul rischio di morte al di là del numero di ore durante le quali è concesso mangiare. Non è ancora chiaro, inoltre, quale fosse la qualità nutrizionale della dieta dichiarata dai partecipanti, al di là della finestra di tempo in cui si nutrivano. Insomma, ci vorrà ancora molta ricerca per trarre conclusioni definitive.
Alcuni studi sugli animali suggeriscono che il digiuno intermittente possa ridurre il rischio di sviluppare tumori con l’avanzare dell’età e persino aumentare la sensibilità alla chemioterapia. In particolare, la produzione di β-idrossibutirrato, il medesimo corpo chetonico citato in precedenza, avrebbe anche potenziali proprietà neuroprotettive e antitumorali. Tuttavia, si tratta di una ricerca ancora agli inizi, che presenta risultati contrastanti.
Per esempio: uno studio del 2024 su topi geneticamente predisposti al cancro ha rilevato che il digiuno intermittente - soprattutto se alternato a periodi di alimentazione abbondante - favorirebbe lo sviluppo di tumori intestinali. Il motivo? Secondo i ricercatori, durante il digiuno l’intestino attiva le sue cellule staminali per rigenerarsi. Se però queste cellule portano mutazioni genetiche, questa “spinta alla rigenerazione” può trasformarsi in una crescita tumorale.
Secondo una recente ricerca su Nature, condotta su 960 topi con caratteristiche genetiche diverse, qualunque tipo di restrizione calorica – compreso il digiuno intermittente – migliora il metabolismo. Il punto però è che, come sottolinea Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto Mario Negri – “ciò che ti fa vivere meglio non è detto che ti allunghi la vita”. Nel corso della ricerca è emerso infatti che i topi che con la dieta perdevano troppo peso morivano prima di quelli che, a parità di restrizione calorica, avevano un calo di peso più modesto.
Questo perché, quando la perdita di peso è troppo rapida o drastica, si possono verificare effetti negativi come indebolimento del sistema immunitario e anemia. La restrizione calorica, come abbiamo sottolineato in precedenza, innesca inoltre una serie di meccanismi di adattamento cellulare che possono provocare un certo stress alle nostre cellule. E coloro che riescono a convivere meglio con questo “stress da fame” sono anche quelli che traggono i vantaggi maggiori dal digiuno intermittente. “Il segreto è nel DNA. È la predisposizione genetica – commenta Remuzzi – il fattore più importante nel determinare l’allungamento della vita”.
Tornando ai risultati del lavoro di Nature, quello che si potrebbe concludere è che, probabilmente, la cosa più importante per vivere a lungo è: “ridurre un po’, diciamo attorno al 20%, la quantità di calorie che si introducono durante la settimana, senza perdere troppo peso”, conclude il Direttore del Mario Negri. Che lo si faccia o meno col digiuno intermittente o con un altro regime di restrizione calorica potrebbe anche essere irrilevante.
Un'ultima considerazione che ci viene da questi recenti studi - secondo Remuzzi - è che: “non c'è una dieta che vada bene sempre e comunque. Periodi di astensione dal cibo possono andar bene per qualcuno, ma non andranno bene per qualcun altro e nessun approccio va bene per tutti. Insomma, digiuno intermittente? Forse, o forse no. La prossima domanda potrebbe essere invece: per chi? Forse per chi ha certi geni, certamente non per chi ne ha altri. Quali debbano essere poi questi geni, a dirla tutta, non lo sappiamo, come sempre c'è ancora molto lavoro da fare”.
Marianna Monte | Giornalista