Il rene policistico è una malattia ereditaria caratterizzata dalla presenza di numerose bolle piene di liquido, chiamate cisti, che si formano e crescono all’interno dei reni.
Man mano che le cisti aumentano di volume e si moltiplicano, la struttura dei reni inizia a deformarsi fino a che la loro funzione non risulta compromessa.
La presenza di cisti renali, comunque, non sempre è sinonimo di rene policistico.
Il rene policistico è la malattia renale ereditaria più frequente causata principalmente dall’alterazione di due diversi geni.
I sintomi principali sono:
Le malattie cistiche del rene si possono classificare come segue:
La malattia renale policistica autosomica dominante (ADPKD) è la malattia renale ereditaria più frequente. La sua prevalenza è di un caso ogni 400-1000 nuovi nati.
Anche la malattia renale policistica autosomica recessiva è ereditaria ma molto più rara. Lo sviluppo delle cisti all’interno dei reni inizia durante lo sviluppo embrionale. La malformazione dei reni è così precoce che porta alla morte prima della nascita o nelle prime settimane di vita. Nei casi meno drammatici l'insufficienza renale sopraggiunge in età infantile o nella prima giovinezza.
Le cisti semplici rappresentano la terza malattia ereditaria dei reni: queste neoformazioni vengono spesso riscontrate per caso durante un’ecografia dell'addome. Nella maggioranza dei casi sono completamente benigne e senza conseguenze per la funzione renale.
La malattia cistica acquisita, infine, è una patologia renale che insorge in pazienti che si sottopongono a dialisi da molti anni. Le cisti che si vengono a formare nei reni dei pazienti non erano presenti all’inizio della dialisi. Il motivo della loro formazione non è ancora stato chiarito ma fortunatamente i pazienti affetti da questa malattia non necessitano di cure particolari: devono sottoporsi a controllo ecografico periodico per tenere sotto osservazione la struttura renale.
Capire come funzionano i reni soltanto attraverso una visita è impossibile: purtroppo, a differenza di altri organi del nostro corpo (ad esempio il cuore che può essere “ascoltato”) i problemi ai reni diventano rilevabili solo quando la loro funzione risulta già molto compromessa. Quindi, salvo casi particolari in cui le dimensioni di quest’organo sono aumentate a tal punto da avvertirle dall'esterno tramite palpazione dell’addome, l'esame diretto del paziente può svelare ben poco al medico.
Oggi possiamo affidarci ad esami di laboratorio (eseguiti su sangue e su urina), ad esami radiologici e all'osservazione diretta al microscopio di un piccolo frammento di tessuto renale, o biopsia.
L'esame del sangue più importante per sapere in poco tempo se i reni funzionano normalmente si chiama creatinina. La creatinina è una sostanza che deriva dal metabolismo dei muscoli e che viene eliminata esclusivamente attraverso i reni: se questi sono malati, la creatinina si accumula nel sangue facendo così aumentare i suoi livelli. La misurazione della creatinina è piuttosto semplice e per questo motivo rappresenta il mezzo più comodo per seguire l'evoluzione di una malattia renale nel corso del tempo. Non è prassi comune dare più importanza ad un esame più che ai sintomi o alla visita obiettiva del paziente, per i reni, però, purtroppo e così dal momento che la visita dice pochissimo, mentre gli esami moltissimo.
Un altro esame spesso richiesto dal nefrologo è l'urea, ovvero quella molecola con cui l'organismo elimina l'eccesso di azoto derivante dalle proteine “digerite”. Per questo motivo il dosaggio dell'urea è chiamato azotemia. L’azotemia è tuttavia un indice di funzione renale meno preciso della creatinina.
Una misurazione della funzione renale ancora più precisa è la “clearance della creatinina”, ovvero l’eliminazione di questa molecola dall’organismo. Il test, infatti, misura la velocità con cui il rene elimina la creatinina dal sangue e dalle urine, eseguendo un dosaggio della stessa nel sangue e nelle urine nell’arco di 24 ore. All’aumentare del valore della creatinina (che significa peggioramento della funzionalità renale), la clearance diminuisce. Questo rapporto però non è perfettamente lineare, quindi la clearance della creatinina è sì un esame molto semplice da eseguire ma non molto preciso.
L'unica manifestazione esterna di un buono stato di salute renale è l’emissione di urina.
Il colore delle urine è generalmente giallo, con tonalità che possono variare dal giallo più intenso al giallo paglierino, a seconda del loro volume. Più sono concentrate e più sono scure.
Urine scure comunque non sempre sono un sintomo di un problema di salute. A volte, però, può succedere che le urine siano scure a causa della presenza di sangue (ematuria), diventando rossastre o quasi nere.
L'esame più importante da fare per controllare lo stato di salute dei reni ed eventualmente ottenere una diagnosi di malattia renale, è l'esame chimico e microscopico delle urine. Questo esame è molto semplice: è necessario fornire al laboratorio un campione di urina fresca, meglio se del risveglio. Dopo aver introdotto pochi millilitri di urina in una provetta, si inserisce anche una strisciolina di plastica, che porta incollati dei quadratini di carta colorata, chiamata MULTISTICK. Ognuno di questi quadratini è imbevuto di una sostanza chimica che rileva la presenza delle diverse componenti delle urine. Una volta a contatto con l’urina, il loro colore diventerà più intenso se la quantità di quella data sostanza è maggiore.
Con questo metodo, nel giro di pochi minuti, si ottengono tante informazioni utili. Si rilevano infatti:
L'esame delle urine è poi completato dall’esame del sedimento urinario: preso un campione di urina, lo si centrifuga e si raccoglie solo una goccia dal fondo della provetta. Osservando questa goccia al microscopio, si può verificare la presenza di:
Contrariamente a quanto si possa pensare, le urine sono un materiale biologico pulito e sterile. Normalmente al loro interno non sono presenti batteri. Se questi riescono a penetrare nelle vie urinarie, possono iniziare a proliferare causando disturbi molto fastidiosi, e talvolta anche pericolosi, come le infezioni urinarie.
Tra gli esami oggi a disposizione che consentono di “visitare” i reni, c’è l’ecografia renale, un esame che consente di visualizzare il rene e le vie urinarie, fornendo in pochi minuti molte informazioni. L’ecografia dei reni è un metodo semplice e relativamente poco costoso. Non espone ai raggi X e non richiede l’uso del mezzo di contrasto.
Un altro grande vantaggio dell'ecografia è che, utilizzando un mezzo innocuo come gli ultrasuoni, si può ripetere diverse volte senza alcun pericolo per il paziente. Per questo motivo rappresenta lo strumento ideale per seguire nel tempo l'evoluzione di malattie renali.
Qualche volta però l'ecografia non basta e si deve ricorrere ad altri esami, come l'urografia o la tomografia assiale computerizzata (TAC).
Altri strumenti spesso usati per lo studio delle malattie renali e per i pazienti con il rene policistico sono la risonanza magnetica nucleare e la scintigrafia renale.
Sono tanti i progressi fatti nella ricerca sul rene policistico negli ultimi 25 anni, progressi che hanno portato alla scoperta dei geni difettosi responsabili della malattia.
La prima mutazione scoperta, che origina la forma autosomica dominante della patologia, è quella a carico del gene PKD1, sul cromosoma 16. Circa l'80% delle persone che soffrono di rene policistico è portatore di questa alterazione genetica.
Un secondo gene che può dare origine a questa patologia è il PKD2, sul cromosoma 4, responsabile del 15% dei casi.
Oggi i ricercatori sono convinti che esista anche un terzo gene alterato, il PKD3, presente probabilmente in un gruppo ristretto di pazienti.
La forma recessiva della malattia, invece, è causata da una mutazione nel gene PKHD1 sul cromosoma 6.
Il rene policistico generalmente si trasmette in modo dominante: basta un solo gene alterato perché la malattia si manifesti. Se ad avere il gene alterato è solo uno dei due genitori, la probabilità che il figlio abbia il rene policistico è del 50%. In questo caso, essere a conoscenza della presenza della malattia all’interno di una famiglia, risalendo all’intero albero genealogico, aiuta nella diagnosi.
C'è però un certo numero di persone che non ha nessun parente affetto da rene policistico. In questo 30% dei casi si pensa che la mutazione del gene avvenga in quel paziente per la prima volta.
Nel caso della forma policistica recessiva, la malattia si manifesta quando entrambi i genitori sono portatori sani della malattia, ovvero quando hanno entrambi una copia alterata del gene. In questo caso, la probabilità che il figlio sia malato è del 25%. Se invece ad essere portatore è solo uno dei due genitori, il figlio sarà portatore ma non svilupperà la malattia.
Le proteine prodotte dai geni PKD1 e PKD2 si chiamano policistine. Nel caso della malattia policistica del rene queste proteine risultano alterate in conseguenza delle mutazioni dei due geni. Queste proteine normalmente non sono presenti solo nei reni ma anche in altre cellule del corpo umano, ed in particolare in tutti quegli organi nei quali si possono formare cisti.
In condizioni normali la policistina regola lo sviluppo della parte più esterna dell’unità funzionale del rene, chiamata tubulo renale. La carenza di questa proteina o la sua scarsa funzionalità dà origine allo sviluppo delle cisti. Dal tubulo renale si forma, a poco a poco, una specie di bolla che si riempie gradualmente di liquido e che cresce notevolmente fino ad alcuni centimetri di diametro.
La forma più frequente di rene policistico, ovvero quella autosomica dominante, di solito non dà disturbi nei primi 20-30 anni. Nel paziente affetto, infatti, le cisti sono presenti all’interno del rene già da molto tempo prima della loro scoperta, che avviene in età adolescenziale del tutto casualmente oppure perché un genitore è affetto dalla malattia.
La malattia, in realtà, potrebbe anche non dare mai disturbi e, quindi, potrebbe essere scoperta in età adulta o addirittura matura.
Le manifestazioni del rene policistico si possono dividere tra quelle renali e quelle degli altri organi.
Le manifestazioni renali sono:
Le manifestazioni del rene policistico degli altri organi, invece, sono:
Ci sono poi anche altri organi interessati dalla presenza di cisti, come pancreas, polmone, esofago, ovaio e utero, per i quali qualche volta è stato documentato il collegamento con pazienti affetti da rene policistico.
Lo strumento diagnostico più usato oggi per fare la diagnosi di rene policistico è l'ecografia dell'addome attraverso cui si valuta il numero e la dimensione delle cisti renali.
L’ecografia permette, inoltre, di verificare la presenza di eventuali cisti anche nel fegato e nel pancreas.
In alcuni casi può essere necessario eseguire una TAC dell’addome o una risonanza magnetica.
Grazie a questi esami si è in grado di “vedere” meglio all’interno delle cisti e di scoprire una possibile tendenza delle stesse a sviluppare cellule maligne.
È possibile, poi, fare anche una diagnosi genetica della malattia, che consiste nella ricerca del gene alterato all'interno di tutti i componenti di una famiglia, quando però almeno uno ha manifestazioni cliniche della malattia. Oggi è possibile eseguire anche una diagnosi prenatale: i genitori possono sapere già nelle prime fasi di una gravidanza se il nascituro ha il gene del rene policistico. Queste tecniche di diagnosi, però, al momento sono ancora in fase sperimentale, tornando più utili ai ricercatori piuttosto che direttamente ai pazienti.
Con il progressivo aumento del numero e della grandezza delle cisti renali, la quantità di tessuto renale normale diminuisce. A lungo andare la crescita incontrollata delle cisti compromette del tutto la funzionalità del rene, causando insufficienza renale.
Tuttavia, è noto che la storia naturale di ADPKD è caratterizzata da un rene che per parecchi anni funziona pressoché normalmente, nonostante il progressivo incremento delle cisti. Il tipo di anomalia genetica (PKD1 o PKD2) è la causa senz’altro più importante ma non l’unica nel condizionare la progressione della malattia policistica del rene. Quando si raggiunge l’insufficienza renale terminale, bisogna ricorrere alla terapia sostitutiva con la dialisi o il trapianto.
Il decorso della malattia non ha la stessa velocità in tutti i pazienti: è stato calcolato che circa il 50% dei pazienti affetti da rene policistico giunge alla dialisi entro i 60 anni.
Finora, nessuno studio di intervento dietetico specifico è riuscito a dimostrare un beneficio nella progressione della malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD). Tuttavia, le linee guida specifiche di diverse Società scientifiche di Nefrologia nazionali ed internazionali consigliano ai pazienti con ADPKD di seguire le seguenti indicazioni relative alla dieta e stili di vita:
La malattia conduce all'insufficienza renale nel 40-50% dei pazienti, di età compresa tra i 50 e i 60 anni. Questa condizione può accorciare la durata della vita di una persona, specialmente se la malattia non è gestita in modo adeguato.
L'aspettativa di vita media varia da 50 a 70 anni, a seconda del sottotipo di gene coinvolto.
Oggi i pazienti in dialisi affetti da rene policistico possono sottoporsi a trapianto godendo di una ottima qualità di vita.
La ricerca sta tuttavia cercando attivamente una cura definitiva a questa malattia.
Fino a poco tempo fa le cure della malattia policistica del rene (ADPKD) erano rivolte al trattamento di alcune sue complicanze che possono accelerare la perdita di funzionalità dell’organo.
Le cure prevedevano:
A questi interventi, tuttora validi, va aggiunta la condizione di uno stile di vita sano, riducendo l’apporto di sale e bevendo molti liquidi, ed evitando l’assunzione di farmaci inutili. Molti farmaci, infatti, vengono eliminati dai reni e si concentrano nelle urine. Alcuni di essi interferiscono con la funzione del rene e possono peggiorarla, tra questi alcuni antibiotici e analgesici.
Nel frattempo, gli studi sperimentali in laboratorio hanno chiarito i meccanismi molecolari alla base della crescita incontrollata delle cisti nei reni, e non solo. Grazie a questi risultati sarà possibile bloccare la distruzione progressiva del tessuto renale sano circostante, che causa il graduale aumento del volume dei reni e la perdita della loro funzione. Ricerche sperimentali e studi clinici hanno portato allo sviluppo di nuove terapie specifiche per la malattia ADPKD. Tra queste Tolvaptan, un antagonista del recettore V2 della vasopressina, e gli analoghi della somatostatina (Octreotide-LAR e Lanreotide acetato), farmaci che inibiscono un particolare segnale all’interno delle cellule del rene, riducendo o bloccando la crescita delle cisti.
Per ora Tolvaptan è l’unico farmaco approvato dalle autorità regolatorie internazionali, pur con molte restrizioni al suo uso, in pazienti affetti da ADPKD. I limiti nel suo utilizzo sono dovuti alla possibile tossicità epatica e alla rapidità di progressione della malattia. Octreotide-LAR, invece, ha ottenuto l’approvazione solo in Italia per pazienti con insufficienza renale severa.
Sono stati proprio i clinici e i ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Bergamo che, grazie agli studi clinici ALADIN e ALADIN2, hanno capito che l’Octreotide-LAR, comunemente utilizzato per la cura di alcuni tumori, era efficace anche per la malattia policistica del rene.
Collaborando con i nefrologi di alcuni centri italiani e partendo dall’osservazione di un singolo paziente, è emerso che questo farmaco è in grado di rallentare la crescita delle cisti e di prevenire la progressione verso l’insufficienza renale e/o il bisogno di dialisi.
I risultati dello studio ALADIN2, pubblicati recentemente sulla rivista scientifica PLOS Medicine, hanno spinto l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ad inserire l’Octreotide-LAR in una lista di farmaci per curare il rene policistico, autorizzandone la prescrizione secondo quanto previsto dalla legge 648/96.
Inoltre, sono in corso studi clinici in pazienti con malattia policistica del rene per valutare se la combinazione dei due farmaci Tolvaptane Octreotide-LAR offra ulteriore renoprotezione rispetto a quanto già osservato con ciascuno singolarmente.
Infine, a differenza di Tolvaptan, l’Octreotide-LAR sembra offrire vantaggi anche ad altri organi: il farmaco infatti riduce la crescita anche delle cisti del fegato e migliora la disfunzione cardiaca, spesso osservata nei pazienti con rene policistico.
“Il rene policistico” di Giuseppe Remuzzi e Arrigo Schieppati
Norberto Perico - Direttore Sanitario Centro Clinico e Capo Laboratorio di Fasi Avanzate dello Sviluppo dei farmaci nell'uomo - Unità Operativa Complessa Malattie Renali - Centro Clinico - Centro Aldo e Cele Daccò
Matias Trillini - Laboratorio di Fasi Avanzate dello Sviluppo dei farmaci nell'uomo - Unità Operativa Complessa Malattie Renali - Centro Clinico - Centro Aldo e Cele Daccò
Editing Raffaella Gatta - Content manager