L'EMA e l'AIFA hanno autorizzato la vaccinazione anche per la fascia d’età che va dai 12 ai 15 anni.
Secondo l'Accademia americana di Pediatria, dall'inizio della pandemia, sono più di 5,7 milioni i ragazzi che si sono infettati. Inoltre, secondo dati federali, più di 540 nella fascia degli under 18 sono morti.
I vaccini a RNA messaggero prodotti da Pfizer e Moderna sono stati autorizzati per l'uso negli adolescenti dalle agenzie del farmaco americana (FDA) ed europea (EMA), il primo nel corso del mese di maggio 2021, il secondo a luglio.
La sperimentazione di Pfizer ha coinvolto 2.260 adolescenti negli Stati Uniti, quella di Moderna 3.732. In entrambi gli studi, nei gruppi che hanno ricevuto il vaccino non sono stati osservati casi sintomatici di Covid-19. La vaccinazione ha portato ad una buona produzione di anticorpi anti-SARS-Cov-2 neutralizzanti, dimostrando una forte immunogenicità un mese dopo la seconda dose. Il vaccino ha manifestato gli effetti collaterali generalmente attesi, come quelli osservati nei partecipanti più grandi di età.
Sono in corso studi che stanno valutando la sicurezza, la tollerabilità e l'immunogenicità del vaccino, con un programma di due dosi (circa 21 giorni a parte), in tre gruppi di età: bambini dai 5 agli 11 anni, da 2 ai 5 anni e da 6 mesi a 2 anni.
La vaccinazione, come dimostrato da numerosi studi, è capace di prevenire forme gravi di Covid-19. La vita sociale dei ragazzi è piuttosto attiva se paragonata a quella degli adulti, quindi vaccinarli potrebbe ridurre la circolazione del virus e proteggere gli adulti più vulnerabili dall'esposizione.
Tuttavia, i ragazzi sembrano essere meno suscettibili degli adulti sia all'infezione che alla trasmissione del SARS-CoV-2. Per questo motivo il loro ruolo nelle catene di trasmissione è limitato, quindi vaccinarli potrebbe essere un beneficio marginale nel ridurre il rischio per gli altri. Inoltre, va detto che il Covid-19 soprattutto nei bambini al di sotto dei 12 anni è paragonabile all'influenza: i bambini soffrono solo di forme lievi dell’infezione e i dati preliminari suggeriscono che anche la malattia causata da varianti rimane lieve nei bambini piccoli.
Esistono, però, anche negli adolescenti e nei bambini delle condizioni particolari, come diabete, tumori, malattie infiammatorie, obesità, o malattie dell’apparato respiratorio come la fibrosi cistica, o la necessità di una terapia prolungata con farmaci che deprimono il sistema immunitario. Questi ragazzi sono più a rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19. Da qui l’ipotesi di estendere anche a loro la possibilità di essere vaccinati.
In ogni caso, comunque, seppur con una frequenza di molto inferiore a quella degli adulti e degli anziani, anche negli adolescenti esiste un rischio di forme gravi di Covid-19. Oltre alla sindrome infiammatoria multisistemica (di cui parleremo più avanti), uno studio pubblicato sulla rivista Lancet Child Adolescent Health ha osservato una percentuale di complicanze neurologiche nei pazienti pediatrici ricoverati in ospedale per Covid-19 maggiore rispetto all’adulto.
Inoltre, uno studio pubblicato dal CDC americano ha presentato una forte evidenza su come la vaccinazione con Pfizer riesca ad evitare l'ospedalizzazione in ragazzi tra i 12 e i 18 anni.
Quindi, se da un lato vaccinare gli adolescenti non rappresenta una priorità, a meno che non si diffonda una variante capace di causare gravi malattie anche in loro, dall’altro vaccinarli potrebbe consentire di poter effettuare il ritorno alla normalità con una tranquillità e continuità maggiori, in vista della ripresa della scuola e di attività sportive e sociali.
Come per adulti e giovani adulti, la vaccinazione anti-Covid-19 ha provocato negli adolescenti alcuni effetti collaterali classici, come ad esempio dolore al sito dell’iniezione e alle articolazioni, mal di testa, brividi, dolori muscolari e febbre. Inoltre, anche questa fascia d’età ha riportato più effetti collaterali dopo la seconda iniezione del vaccino, rispetto alla prima.
Un numero molto ridotto di adolescenti over 16 e giovani adulti, vaccinati contro il coronavirus, ha manifestato alcuni problemi cardiaci, come riportato dai CDC americani. Le segnalazioni di miocardite sono poche e questi casi sembrano essersi verificati soprattutto negli adolescenti e nei giovani adulti maschi dopo circa quattro giorni dalla seconda dose.
Nonostante i dati non siano conclusivi, ci sono dei segnali che indicano una possibile associazione tra i vaccini a RNA messaggero e i casi di miocardite e pericardite.
Queste sono, per esempio, le conclusioni a cui è giunto il comitato consultivo per le vaccinazioni dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti: il 23 giugno ha dichiarato che c'era una "probabile associazione" tra i vaccini Pfizer e Moderna e i casi di miocardite riscontrati nei ragazzi di età compresa tra 16 e 24 anni. Il numero di infiammazioni cardiache segnalato era più alto del previsto, ma, secondo i loro esperti, i benefici della vaccinazione superano ancora i rischi.
Il Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) aveva ricevuto fino all'11 giugno 1226 rapporti preliminari di miocardite e pericardite dopo circa 300 milioni di dosi di vaccini Pfizer e Moderna. Si tratta di casi rari: la frequenza con cui sono stati segnalati tra gli adolescenti di età 12-17 anni è infatti di 4 casi ogni 100.000 vaccinati, nella maggior parte di lieve entità. Secondo gli esperti del CDC, su milioni di seconde dosi il vaccino causerebbe 70 casi di miocarditi ma eviterebbe 5700 infezioni, 215 ricoveri e 2 morti.
Anche il Ministero della Salute israeliano ha riscontrato un piccolo numero di casi di infiammazione cardiaca osservati principalmente nei giovani che hanno ricevuto il vaccino di Pfizer. Dalla revisione condotta dal Dipartimento per la Sicurezza dei Vaccini del Ministero della Salute israeliano, i casi di miocardite segnalati, classificati come lievi, sono stati 275 tra dicembre 2020 e maggio 2021 su più di 5 milioni di persone vaccinate. Il legame è stato osservato più tra i ragazzi di età compresa tra i 16 e i 19 anni che in altre fasce di età.
Il 9 luglio il Comitato per la Farmacovigilanza e la Valutazione del Rischio (Pharmacovigilance Risk Assessment Committee, PRAC) dell’Agenzia Europea dei Medicinali, al termine di una revisione dei dati raccolti, ha concordato con le valutazioni dei CDC americani sulla possibile associazione tra miocardite e pericardite e i vaccini a RNA messaggero.
Le istituzioni sanitarie, nonostante la possibilità di un legame tra miocardite e vaccini, continuano a raccomandare il vaccino nella fascia 12-15 anni in quanto i benefici rimangono superiori ai rischi.
In ogni caso, come spiega il Professor Giuseppe Remuzzi, il sistema immunitario dei ragazzi è più vivace e risponde a molti stimoli e alle infezioni. Gli eventi di miocarditi verificatisi sono ancora pochi per stabilire un nesso di causalità e non è escluso che per i più giovani si debba trovare il dosaggio adatto.
Una volta finiti gli studi, se il rapporto rischi/benefici risulterà favorevole, sarà davvero necessario vaccinare anche i più piccoli contro il Covid-19? Dal momento che il rischio dei bambini di ammalarsi è bassissimo, un rischio anche minimo di avere effetti indesiderati a causa del vaccino andrà valutato una volta che avremo a disposizione i dati degli studi.
Una delle ragioni per vaccinare i bambini è che la malattia, per quanto rara in questa fascia di età, può portare a una sindrome di infiammazione multisistemica che ha riguardato 4mila bambini negli Stati Uniti nell’anno passato e molti di più nel mondo. È una malattia che, secondo un lavoro appena pubblicato su Journal of Pediatrics, colpisce di più i neri e gli ispanici e molto meno i bianchi. In particolare, chi richiede cure intensive appartiene a queste etnie. Lo stesso studio però dimostra che una diagnosi precoce e il trattamento ormai standardizzato è in grado di ridurre la gravità di questa complicanza ed eliminare la mortalità.
Inoltre, è possibile che i bambini, che si infettano senza ammalarsi, possano contribuire all’immunità di popolazione. Da un lavoro pubblicato su Nature pochi mesi fa, non solo emerge questa possibilità ma anche che probabilmente saranno proprio gli asintomatici a consentirci di arrivare alla fine della pandemia. Per ora, però, non abbiamo ancora nessuna certezza.
I bambini, comunque, non trasmettono il Sars-CoV-2 così facilmente, come invece avviene negli adulti. In un lavoro scozzese si è visto che avere uno o due bambini in casa diminuiva le probabilità di ammalarsi di Covid-19, soprattutto della forma severa. Come se la protezione che i bambini hanno naturalmente nei confronti del virus potesse essere condivisa con chi vive con loro. Le ragioni non sono ovvie: parrebbe strano che i bambini naturalmente protetti trasferissero la loro protezione agli adulti, è più facile pensare che la vita sociale di chi ha uno o due bambini in casa sia ridotta rispetto a chi non ne ha e, quindi, sia meno suscettibile al contagio. Non solo, ma gli adulti che vivono con bambini sono più esposti a comuni raffreddori rispetto a chi vive senza bambini. Questo potrebbe far diminuire il rischio di sviluppare gravi infezioni da SARS-Cov-2 grazie ad una immunità protettiva sviluppata nei confronti di altri coronavirus stagionali. Comunque la si voglia vedere, il lavoro scozzese afferma che la contagiosità dei bambini è molto bassa.
Dati analoghi agli scozzesi sono stati pubblicati su BMJ, in cui i ricercatori hanno affermato di nuovo che vivere con bambini non aveva aumentato il rischio di ammalarsi di Covid-19, almeno così era sembrato durante la prima ondata. La sorpresa fu constatare che lo stesso non si era verificato durante la seconda ondata, caratterizzata da un aumento del rischio di infezione e dei ricoveri ospedalieri per gli adulti che vivevano con i bambini di tutte le fasce di età, che però non si traduceva in un aumento di mortalità. È anche vero però che durante la seconda ondata le scuole sono rimaste aperte, aumentando la possibilità che i bambini portassero nelle case il virus.
Una meta-analisi pubblicata su Clinical Infectious Disease ha documentato, poi, che i bambini sarebbero davvero poco contagiosi. Gli autori hanno studiato 90.000 bambini in tutte le scuole del North Carolina durante la pandemia e non sono riusciti a dimostrare un singolo caso di trasmissione del virus dai bambini agli insegnanti.
Il 4 giugno Science ha invece pubblicato un lavoro sempre sui rischi derivanti dal vivere in casa con bambini in età scolare. Grazie ai risultati ottenuti analizzando un enorme numero di persone, gli autori affermano che non è possibile escludere il fatto che i bambini rappresentano un rischio per gli adulti conviventi nella stessa casa. Se, però, ci si attrezza con misure di protezione individuale adeguate questo rischio può essere controllato.
Sulla base dei dati di sicurezza dei vaccini attualmente a disposizione, che sono assolutamente impeccabili, ci aspettiamo comunque che gli studi, una volta completati, suggeriranno che i benefici del vaccino superino i rischi anche nei più piccoli.
Le decisioni vanno prese però in rapporto alla situazione di un determinato paese e ambiente geografico. Mentre da noi vaccinare bambini piccoli non è certamente una priorità, per tutte le ragioni che abbiamo detto sopra, in altri parti del mondo i bambini si ammalano e muoiono.
Per esempio, in Brasile sono morti 900 bambini sotto i cinque anni, su 467.000 morti in totale. Questi 900 bambini sono certamente tanti, perché negli Stati Uniti, dove i morti in totale sono stati 600.000, di bambini sotto i cinque anni, ne sono morti solo 113; mentre dall’inizio dell’epidemia ne sono morti più di 10.000 per incidenti stradali, violenza e altre malattie. Anche in Indonesia, nuovo epicentro della pandemia, sono morti centinaia di bambini di coronavirus nelle ultime settimane, molti di loro sotto i 5 anni. L'aumento della mortalità infantile coincide con l'aumento della circolazione della variante delta, che ha attraversato il sud-est asiatico. Qui i tassi di vaccinazione, purtroppo, sono bassi. Focolai record sono stati registrati non solo in Indonesia, ma anche in Thailandia, Malesia, Myanmar e Vietnam.
Perché i bambini muoiono in Brasile, in Indonesia e non da noi? Non lo sappiamo. Potrebbe essere a causa delle varianti, più pericolose del virus originario, che potrebbero anche sfuggire agli anticorpi prodotti dall’infezione o dalla vaccinazione. Per questo è bene essere sempre prudenti con le affermazioni, perché certezze nel campo dell’infezione da SARS-CoV-2 sono sempre relative al momento in cui si parla e all’ambiente di cui si discute.
Raffaella Gatta - Content manager
In collaborazione con Antonio Clavenna - Capo Unità di Farmacoepidemiologia - Laboratorio Salute Materno Infantile - Dipartimento di Salute Pubblica