I farmaci a disposizione oggi per curare il Covid-19 si dividono tra quelli da utilizzare a casa quando l’infezione è ancora in fase molto precoce e quelli che devono essere somministrati sotto controllo in ospedale.
I laboratori di tutto il mondo continuano la ricerca di nuovi rimedi per combattere il Covid-19. Al momento l’unico vero strumento per la prevenzione del Covid-19 è la vaccinazione, capace di prevenire la forma grave della malattia e il decesso. Resta però necessario l’impegno nell’individuare cure efficaci a cui poter ricorrere nel caso si contraesse l’infezione.
Dal punto di vista del meccanismo, è ormai assodato che quando il virus entra all’interno del nostro organismo, il sistema immunitario innesca una robusta risposta infiammatoria, producendo una quantità enorme di proteine chiamate citochine. Ogni tessuto produce citochine specifiche: per esempio nel polmone, nel cuore e nel cervello vengono prodotte l’interleuchina-1, l’interleuchina-6, il TNF e il TGF-β.
I farmaci in grado di inibire la risposta infiammatoria sono quelli che bloccano COX2, un enzima che stimola la produzione di queste proteine infiammatorie. Ed è proprio a base di inibitori di COX2 che si basa il protocollo di cura domiciliare, da effettuare molto precocemente.
Le attuali conoscenze su Nimesulide e Celecoxib, inibitori di COX2, derivano da anni di ricerche, i cui risultati sono stati applicati ai pazienti affetti dal Covid-19 (Hyperinduction of Cyclooxygenase-2-Mediated Proinflammatory Cascade: A Mechanism for the Pathogenesis of Avian Influenza H5N1 Infection, Non-steroidal anti-inflammatory drug use in COVID-19, Antiviral activity of aspirin against RNA viruses of the respiratory tract—an in vitro study, COX2 inhibition in the treatment of COVID-19: Review of literature to propose repositioning of celecoxib for randomized controlled studies).
Grazie a queste “vecchie conoscenze”, nello studio clinico di Remuzzi e Suter, 90 pazienti sono stati trattati con inibitori di COX2. Questi sono stati poi sottoposti ad esami di laboratorio per stabilire se l’infiammazione si fosse ridotta. In caso contrario, i pazienti avrebbero ricevuto cortisone ed eventualmente ossigeno. Dei 90 pazienti, solo 2 sono stati ricoverati in terapia intensiva. Confrontando questi risultati con quelli ottenuti da altrettanti pazienti con profili simili ma trattati con il paracetamolo, che ha una debole attività antinfiammatoria è emerso che i pazienti che hanno bisogno di terapia intensiva in questo secondo gruppo erano 13. Lo studio (COVER), molto incoraggiante, presenta un limite: è retrospettivo, cioè il disegno sperimentale non era stato deciso a priori. Per questo motivo è stato pubblicato un altro studio (COVER 2) a conferma di questi dati.
Esistono anche altri studi su farmaci antinfiammatori usati per curare il Covid-19. Ad esempio, uno studio indiano che paragona l’indometacina al paracetamolo. In questo caso si tratta di 210 pazienti curati non a casa ma in strutture ospedaliere. Nessuno degli individui a cui è stata somministrata precocemente l’indometacina ha avuto bisogno di ossigeno.
Un altro studio, condotto a Oxford su 146 partecipanti, ha dimostrato che l’utilizzo della budesonide, un farmaco anti-asma, somministrato a casa entro sette giorni dall’insorgenza dei primi sintomi di Covid, riduceva significativamente la probabilità di ammissione in ospedale. I pazienti trattati con la budesonide sono guariti dalla malattia in tempi molto più rapidi rispetto ai pazienti che hanno ricevuto cure standard.
A fine agosto 2022 è stato poi pubblicato un ampio lavoro su Lancet Infectious Diseases, condotto dai nostri ricercatori insieme all'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Dall'esame di numerosi studi pubblicati tra il 2020 e il 2021 su riviste scientifiche autorevoli, condotti su un totale di cinquemila pazienti, divisi tra gruppi di studio e gruppi di controllo, si conferma ulteriormente l'efficacia di una terapia domiciliare precoce a base di antinfiammatori.
Gli anticorpi monoclonali rappresentano una prospettiva terapeutica importante. A differenza degli antinfiammatori utilizzati per curare precocemente il Covid-19, questi farmaci però non possono essere somministrati a casa, ma necessitano di un ambiente ospedaliero e di controllo medico perché somministrati per via endovenosa. La terapia con i monoclonali va iniziata molto presto, perché il meccanismo d’azione di questo farmaco è quello di legare direttamente il virus quando è ancora in circolo nel sangue, prima quindi che le particelle virali infettino gli organi.
Al momento gli anticorpi monoclonali disponibili per curare il Covid-19 sono il bamlanivimab in associazione con etesevimab, e l’imdevimab in combinazione con il casirivimab. Ad agosto è stato approvato dall’FDA un altro anticorpo monoclonale, il sotrovimab, che sembra essere efficace anche contro le varianti del virus.
Un gruppo molto accreditato in Italia, diretto dal Dr. Rino Rappuoli, presso Toscana Life Science, sta terminando prove cliniche per il MAD0004J08, anticorpo monoclonale molto potente ed efficace contro tutte le varianti, incluso la delta.
Inoltre, la Vanderbilt University ha di recente messa a punto una nuova tecnologia, chiamata LIBRA-seq (Linking B-cell Receptor to Antigen Specificity- sequencing), che ha portato alla scoperta di un nuovo anticorpo monoclonale, efficace nel neutralizzare moltissime varianti del SARS-CoV-2, compresa la delta. Si tratta di dati di laboratorio che vanno validati nell’uomo ma sono molto promettenti.
L’anakinra, un farmaco comunemente usato contro l’artrite reumatoide, è un farmaco attualmente in studio per curare il Covid-19 in fase avanzata. Il suo meccanismo d’azione prevede l’inibizione dell’interleuchina-1. Uno studio multicentrico condotto per analizzare l’efficacia dell’anakinra ha coinvolto circa 600 pazienti potenzialmente gravi, perché a rischio di sviluppare malattia severa. Trattandoli precocemente con questo farmaco si è registrata una riduzione dei ricoveri in terapia intensiva e della mortalità. Lo studio, ancora in fase 2 (studio di efficacia), non può ancora essere considerato definitivo. È promettente però l’utilità dell’anakinra quando non si riesce a intraprendere la cura in modo precoce, più del Tocilizumab, inibitore dell’interleukina-6, nato per curare l’artrite reumatoide e utilizzato off-label nella cura del Covid-19. Anakinra, comunque, non è stato usato da solo ma associato a cortisone, anticoagulanti e ad un antivirale.
Ariela Benigni - Segretario Scientifico e Coordinatore Ricerche Bergamo e Ranica
Raffaella Gatta -Content manager