ultimo aggiornamento:
March 16, 2022

La prossima sfida della scienza: sviluppare un vaccino entro 100 giorni dalla scoperta del virus

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In un recente lavoro pubblicato sull’autorevole rivista scientifica The New England Journal of Medicine, Richard Hatchett e colleghi, ricercatori presso il Coalition for Epidemic Preparedness Innovations - CEPI, a Oslo, e il McKinsey and Company, a Ginevra, presentano una vera e propria sfida per la scienza: sviluppare nuovi vaccini pronti all'autorizzazione iniziale e prepararsi per la produzione su larga scala entro 100 giorni dall’identificazione del nuovo eventuale agente patogeno.

I vaccini contro il Covid-19 sono stati sviluppati in meno di un anno e questo evento è considerato un vero trionfo scientifico. Tuttavia, se i tempi fossero stati ancora più veloci dei 326 giorni impiegati, si sarebbero potuti evitare più di 70 milioni di casi di Covid-19 e quasi 2 milioni di decessi in tutto il mondo.

Farsi trovare preparati ad una eventuale nuova pandemia significa, quindi, lavorare sistematicamente allo sviluppo di "vaccini prototipo" contro agenti infettivi conosciuti, appartenenti a varie famiglie virali. Questo primo step, originariamente proposto dai ricercatori dell'Istituto Nazionale di Allergia e Malattie Infettive (NIAID), aiuterebbe a raccogliere tutte le conoscenze fondamentali su un determinato patogeno virale, ben prima che si sviluppi un focolaio. Lo sviluppo di vaccini per il SARS-CoV-2, ad esempio, ha beneficiato dei lavori svolti in precedenza per produrre prototipi di vaccini contro il SARS-CoV-1, il coronavirus che causa la MERS (Sindrome Respiratoria del Medio Oriente).

L’applicazione di questa strategia ad una vasta gamma di famiglie virali consentirebbe agli scienziati di acquisire esperienza, creando, in anticipo, vaccini per virus sconosciuti.

"Moonshot", questo il nome dell’obiettivo della Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, rappresenta semplicemente un processo di sviluppo abbreviato rispetto ai normali tempi di sviluppo e approvazione di qualsiasi farmaco o vaccino. Ad oggi è stato già adottato dai governi di tutto il mondo e sono tante anche le aziende farmaceutiche che stanno studiando strategie per riuscire a raggiungerlo.

In che cosa consiste la nuova strategia per ottenere un vaccino più velocemente?

Tradizionalmente il tempo necessario a sviluppare un vaccino si aggira intorno ai 10 anni.

La fase preclinica solitamente dura 18 mesi.

Le prime fasi dei trial clinici, quelle durante le quali si valuta la sicurezza, il dosaggio e l’immunogenicità, duravano circa 36 mesi: ad esempio, la fase 1 e 2 per il vaccino contro l’herpes zoster, sviluppato da GSK, è durata quasi 3 anni.

La seconda parte del trial, quella che valuta l’efficacia, dura di solito anche 5 anni: la fase 2-3 del vaccino contro Ebola, ad esempio, è durata quasi 3 anni.

E infine, la fase finale di approvazione può durare fino a 2 anni.

Nel caso del Covid-19, la fase preclinica è durata solo 14 settimane, grazie ad un precedente sviluppo del processo di produzione e ad un rapido controllo della qualità. Le prime fasi del trial (1 e 2) sono durate 19 settimane, mentre le fasi successive 15-16 settimane, grazie ad un ampio utilizzo delle reti globali di sperimentazione clinica. Infine, solo 5 settimane per l’approvazione grazie alle nuove norme di revisione continua (rolling review).

Le strategie che hanno permesso un’accelerazione di questo tipo sono state l’uso di “vecchie” conoscenze da applicare ai nuovi patogeni, la collaborazione tra i vari laboratori mondiali interessati e la condivisione di dati e informazioni, e una una rapida approvazione finale.

Oggi “Moonshot” propone una compressione di questa timeline: una fase preclinica ridotta a 5-7 settimane, una prima fase clinica di 13-15 settimane seguita poi da altre 14-15 settimane, e una fase finale di 3-5 settimane.

Moonshot: un obiettivo ambizioso ma realizzabile

Gli autori di questo lavoro affermano che il miglioramento delle pratiche attuali insieme all’utilizzo di tutti gli sviluppi scientifici potrebbe aprire la strada allo sviluppo di vaccini pandemici in 100 giorni. Questo obiettivo sarebbe probabilmente utilizzato solo in una situazione di estrema emergenza, ad esempio se un virus fosse associato a un tasso di mortalità o di trasmissibilità molto elevato. In tali circostanze, l'autorizzazione sarebbe probabilmente limitata a determinate popolazioni o regioni geografiche. Questo tipo di introduzione anticipata non eviterebbe però la necessità di condurre studi su larga scala per ottenere dati affidabili sull'efficacia nella pratica clinica, sull'efficacia nel mondo reale, e la sicurezza a lungo termine, parallelamente all'uso limitato.

Il successo di Moonshot richiederà da un lato la capacità di produrre vaccini su larga scala e dall’altro l’abilità di distribuirli e somministrarli in tutto il mondo. Tutto ciò sarà possibile solo se verranno fatti progressi nell'organizzazione, nell’amministrazione e nel finanziamento dei sistemi di preparazione globale e se gli sforzi della ricerca mondiali saranno uniti e allineati scientificamente: questo il vero obiettivo ambizioso ma assolutamente realizzabile.

Non solo vaccini: biomarcatori e nuove tecnologie

Nell’articolo di Richard Hatchett et al “Delivering Pandemic Vaccines in 100 Days — What Will It Take?”, si sottolinea che sono necessarie anche ulteriori ricerche per cercare l’esistenza di molecole “sentinella”, chiamate biomarcatori, che segnalino l’avvenuto inizio di una risposta immunitaria nei confronti di uno specifico agente infettivo. Il principio alla base di questa nuova strategia sfrutterebbe quindi la capacità di alcuni microrganismi di stimolare la risposta immunitaria di una persona, ovvero la loro immunogenicità, accorciando il tempo di valutazione degli studi clinici, a vantaggio soprattutto dei pazienti fragili.

Questo approccio non è poi così nuovo come potrebbe sembrare: l'approvazione dei vaccini antinfluenzali stagionali, ad esempio, si basa da sempre sui dati di immunogenicità.

La tempistica per la produzione e il rilascio accelerato dipende anche dai progressi tecnologici ottenuti nel corso degli anni dalla ricerca scientifica: l’utilizzo di speciali piattaforme, come ad esempio quella dei vaccini a mRNA, rende questo processo potenzialmente realizzabile.

Raffaella Gatta - Content manager

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