ultimo aggiornamento:
24/7/2023
June 12, 2023

Cellule staminali pluripotenti indotte e Organ on Chip: cosa sono e come funziona la ricerca del futuro

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Fino a poco tempo fa per capire cosa accade al nostro corpo quando si ammala o quando assumiamo un farmaco l’unica possibilità era studiare un organismo vivente “intero” oppure cellule ottenute da modelli animali differenti dall’uomo. Negli ultimi dieci anni, grazie ai progressi della ricerca scientifica e al lavoro di biologi, medici e ingegneri, sono stati messi a punto modelli alternativi e semplificati di organi e delle loro connessioni, per cui si parte studiando la singola cellula umana fino a studiare l’interazione tra diversi sistemi/organi.

Che cosa sono le iPSC?

Le Cellule Staminali Pluripotenti Indotte (iPSC) sono cellule staminali che si generano in laboratorio, e per questo definite staminali etiche, a partire da cellule mature di una persona adulta. Le cellule mature vengono riportate indietro nel tempo grazie ad un processo di riprogrammazione genetica e tornano ad uno stadio di staminalità per poter essere poi trasformate nel tessuto di un altro organo di interesse.

Ogni cellula del nostro corpo può essere trasformata in una cellula staminale pluripotente mediante l’ espressione forzata di geni e fattori importanti per mantenere la “staminalità”, ovvero lo stato indifferenziato.

Questa tecnologia è nata nel 2006 da un gruppo di ricerca dell’università di Kyoto, diretto dal professor Yamanaka, che poi grazie a queste scoperte ha ottenuto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2012.

Generalmente le cellule adulte da cui si parte per generare le iPSC sono cellule della pelle, che si ottengono da una  biopsia cutanea, oppure cellule del sangue, che si ottengono da un semplice prelievo di sangue di una persona adulta. Con questa tecnologia è quindi possibile generare cellule staminali che conservano le caratteristiche genetiche del donatore, compresa eventualmente la presenza di mutazioni geniche responsabili dell’insorgenza di malattie genetiche. Grazie alla loro caratteristica di staminalità, le cellule iPSC possono essere differenziate in cellule e tessuti di diversa natura (cellule cardiache, intestinali, renali e del sistema nervoso) e utilizzate per studiare i meccanismi alla base di una malattia genetica. Inoltre, le iPSC e i loro derivati cellulari sono fonti cellulari preziose nell’ambito della medicina rigenerativa, ed in particolare delle terapie cellulari che impiegano le cellule come se fossero farmaci. Ad oggi, risultati molto promettenti sono stati ottenuti nell’ambito di malattie neurodegenerative e cardiovascolari.

Dalle iPSC agli organoidi: aumenta la complessità, migliora la predittività

Dal 2013 grazie all’utilizzo di iPSC sono stati sviluppati diversi protocolli per ottenere organoidi, cioè modelli tridimensionali  (3D) di organi o tessuti. Gli organoidi uniscono il vantaggio delle cellule iPS di potersi differenziare in qualsiasi cellula del nostro organismo alla possibilità di studiare una struttura 3D che ricorda molto da vicino quella di un tessuto umano:

  • i meccanismi delle malattie;
  • l’efficacia dei farmaci;
  • gli aspetti caratteristici di una malattia e i suoi effetti diretti su specifiche cellule.

Gli organoidi condividono lo stesso profilo genetico del donatore, in quanto derivano proprio dalle sue cellule, le quali si comportano in modo molto simile a quello che succede fisiologicamente nel corpo umano. Sono stati ad esempio generati organoidi da pazienti con malattia di Alzheimer, che presentano le caratteristiche tipiche della malattia, come l’accumulo di beta amiloide, abbondanza della proteina TAU nella forma fosforilata e deficit a livello dei neuroni simili a quelli dei pazienti di origine. La stessa cosa è stata vista per tante altre malattie neurodegenerative.

I risultati che derivano da studi condotti su strutture tridimensionali che meglio mimano la complessità di un organo sono più affidabili rispetto a studi condotti su un solo tipo di cellule cresciute in monostrato e danno l’opportunità di comprendere meccanismi patologici ancora sconosciuti e di sviluppare terapie più efficaci per la cura di una malattia.

Gli organoidi presentano però anche alcuni limiti: essi, infatti, non possono ancora riprodurre l’intero ambiente del tessuto malato, perchè spesso mancano componenti cellulari importanti, come i vasi sanguigni. Per questo i risultati vanno comunque ancora confermati in un organismo vivente.

Che cosa sono gli Organ-on-Chip?

Un modello alternativo e semplificato di organo completo di tutte le sue connessioni è chiamato Organ-on-Chip (OoC). Questi sono veri e propri sistemi in miniatura che consentono di riprodurre su scala microscopica gli organi e di mimare la loro interazione biologica.

I chip sono dei dispositivi in plastica o in vetro che contengono piastrine con all’interno uno o più tipi di cellule o tessuti coltivati mediante un flusso continuo di terreno di coltura (il nutrimento delle cellule). Lo scopo è di riprodurre il movimento fisiologico dei fluidi umani e studiarne l’effetto. Questi dispositivi sono progettati per controllare il microambiente cellulare e per mantenere le funzioni specifiche dei tessuti. Oggi si producono addirittura multi-organi su «chip», in cui più organi vengono collegati tra loro da un sistema di microcanali. Questo permette di studiare ad esempio in modo semplificato una malattia anche complessa da analizzare, come ad esempio le demenze.

Oggi,combinando i progressi dell'ingegneria cellulare, dei biomateriali e della nanotecnologia, gli OoC rappresentano piattaforme sperimentali di nuova generazione che permettono di studiare le malattie umane e l'effetto di nuovi farmaci. Sebbene gli organoidi e gli OoC non possano sostituire del tutto la sperimentazione animale per lo studio delle malattie e per lo sviluppo di farmaci, questi sistemi possono essere considerati complementari al modello animale.

Perché è importante lo studio delle malattie con iPSC e Organ-on-Chip: applicazioni mediche

La possibilità di generare cellule iPSC umane e di sviluppare modelli di malattia in vitro permette ai ricercatori di avvicinarsi maggiormente alla realtà del paziente e di ottenere risultati più affidabili rispetto all’utilizzo di modelli sperimentali.

Questo ha permesso, negli ultimi anni, di ottenere risultati di fondamentale importanza nell’ambito delle malattie neurodegenerative, come:

  • la scoperta di nuovi meccanismi responsabili dello sviluppo delle malattie tipiche dell’invecchiamento;
  • lo sviluppo di farmaci che contrastano l’aggregazione di beta amiloide per i malati di Alzheimer;
  • l’utilizzo di cellule iPS sane o geneticamente modificate in trials clinici per curare malattie invalidanti come la SLA e il Parkinson.

Tutte queste tecnologie innovative riducono in maniera consistente il numero di specie animali usate per lo sviluppo di farmaci e terapie protettive. Sono dunque un grande avanzamento per la ricerca preclinica, e anche se al momento si possono considerare solo un primo step di analisi da completare e validare comunque in modelli in vivo, rappresentano certamente una tecnologia innovativa che sarà sempre più integrata nei laboratori di tutto il mondo.

L’impegno del Mario Negri nella ricerca sugli iPS e gli Organ-on-chip

Nel Dipartimento di Neuroscienze si stanno utilizzando iPSC e OoC, strumenti di ricerca molto versatili e personalizzabili per affrontare aspetti e malattie legate all’invecchiamento, come la malattia di Alzheimer o il morbo di Parkinson. Inoltre, gli Organ-on-chip vengono usati anche per ricreare interazioni fisiologiche complesse, come ad esempio l’asse microbiota-intestino-cervello, mediante la connessione in serie di più dispositivi che mimano un modello ancora più complesso e informativo. Da qui, l’importanza dell’impiego di cellule di derivazione staminale prelevate da pazienti. 

I ricercatori del Laboratorio di Biologia delle Malattie Neurodegenerative utilizzano da diversi anni linee di iPSC ottenute da volontari sani e da pazienti affetti da varie forme di demenza per generare colture cellulari e organoidi utili allo studio delle caratteristiche di queste malattie neurodegenerative e allo sviluppo di farmaci che siano efficaci per l’uomo.  

Nel Dipartimento di Medicina Molecolare i ricercatori stanno studiando i meccanismi patogenetici alla base di alcune malattie genetiche rare che colpiscono il rene, come la Glomerulosclerosi Focale Segmentale (FSGS), una lesione tipica della sindrome nefrosica steroido resistente, il rene policistico autosomico dominante (ADPKD), la sindrome emolitico uremica atipica (aHUS) e la malattia di Alport, per cui ad oggi non esistono terapie adeguate. Partendo dalla generazione di iPSC dei pazienti e differenziandole nelle cellule adulte, i ricercatori hanno ottenuto, sia in monostrato che in strutture 3D, cellule dei pazienti da confrontare con quelle di un soggetto sano per quanto riguarda l’espressione genica, la funzionalità e i meccanismi molecolari intracellulari coinvolti nell’insorgenza della patologia.

In un approccio di medicina rigenerativa, i ricercatori del Dipartimento hanno generato tessuti bioartificiali trapiantabili per la cura dell'anemia renale e varie terapie basate sulle cellule staminali per lesioni renali acute e croniche.

Inoltre è in corso un progetto di medicina rigenerativa per la cura di una malattia sistemica rara, la Porpora Trombotica Trombocitopenica congenita causata dall’assenza di una proteina plasmatica prodotta dal fegato. Il progetto prevede la generazione di iPSC universali ovvero invisibili al sistema immunitario e quindi utili per qualsiasi paziente. Con queste cellule verrà generato un mini-fegato in laboratorio che, una volta trapiantato, dovrebbe essere in grado di rilasciare in circolo livelli terapeutici di proteina.

Massimiliano De Paola e Diego Albani - Dipartimento di Neuroscienze

Susanna Tomasoni - Dipartimento di Medicina molecolare

Raffaella Gatta - Content manager

 

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