ultimo aggiornamento:
December 20, 2021

Farmaci betabloccanti: che cosa sono e come funzionano

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Verso la fine degli anni ’50, Sir John Black iniziò le ricerche che porteranno poi nei primi anni ’60 alla sintesi del propranololo, per cui venne insignito del premio Nobel per la medicina.

I farmaci betabloccanti sono la classe di farmaci maggiormente prescritti per la loro azione preventiva e terapeutica nelle più comuni malattie cardiovascolari.

Il loro nome, "betabloccanti", deriva dal loro meccanismo d'azione: essi, infatti, agiscono bloccando prevalentemente i recettori che competono per il legame con l’adrenalina (ß adrenergici). Questa attività si definisce antagonistica, perché pur legandosi in maniera selettiva ad un recettore, non lo attiva ma anzi lo inibisce, bloccando la trasduzione del segnale.

I recettori ß adrenergici sono situati sia a livello cardiaco che renale: infatti, il rene è uno dei principali attori coinvolti nella regolazione della pressione arteriosa.

In generale si distinguono tre diversi tipi di recettori β-adrenergici:

  • β1, localizzati nel cuore, nel rene e negli occhi;
  • β2, localizzati a livello della muscolatura liscia di diversi organi tra cui quelli dell’apparato genito-urinario, quello gastrointestinale e quello bronchiale. I β2, però, si trovano anche a livello della muscolatura scheletrica, come ad esempio quella del fegato;
  • β3, localizzati soprattutto sulle membrane delle cellule di grasso, dove stimolano la digestione dei lipidi.
Dal punto di vista terapeutico, i betabloccanti più utilizzati sono quelli con selettività per i recettori β1.

Come vengono classificati i farmaci betabloccanti?

Non esiste una classificazione univoca per categorizzare i farmaci betabloccanti. Essi sono generalmente classificati sia sulla base della loro interazione con i recettori adrenergici e sia su base “gerarchica”, come:

  • non selettivi, o di prima generazione;
  • ß1 selettivi (particolarmente indicati per le patologie cardiovascolari) o di seconda generazione;
  • ß1 selettivi con azione vasodilatatoria o di terza generazione.

I betabloccanti di prima generazione sono principi attivi che agiscono sia sui recettori ß1 che ß2-adrenergici in maniera non selettiva. È in questa categoria che si trova il primo betabloccante sviluppato: il propranololo, a cui si uniscono altre tre importanti molecole: il nadololo, pindololo e il timololo.

Tra i betabloccanti di seconda generazione troviamo l'atenololo, il bisoprololo, l'acebutololo, il metoprololo e l'esmololo (solo in casi di emergenza): queste molecole svolgono un'azione selettiva sui recettori ß1 localizzati a livello cardiaco. Ad alte dosi, però, interagiscono anche sui recettori ß2. I betabloccanti di seconda generazione sono particolarmente indicati nei pazienti che soffrono anche di altre patologie come il diabete, l’asma o la Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), malattia respiratoria cronica, poiché non vengono coinvolti meccanismi che possono provocarne il peggioramento.

I betabloccanti di terza generazione, come il carvedilolo e il labetalolo, sono caratterizzati da effetti aggiuntivi dovuti all'interazione con altri recettori specifici (gli α1 adrenergici), che innescano un'azione vasodilatatoria.

Esiste poi anche un altro gruppo di betabloccanti di terza generazione, capaci sia di stimolare un’azione vasodilatante mediante l'ossido nitrico che di svolgere un'azione selettiva sui recettori ß1 adrenergici. Le molecole che possiedono queste caratteristiche sono il celiprololo e il nebivololo.

Qual è il meccanismo d'azione dei farmaci betabloccanti?

Anche se hanno tutti profili di attività simili (fenomeno chiamato effetto di classe), i betabloccanti differiscono tra di loro per le seguenti caratteristiche:

  • affinità ai recettori ß1e ß2;
  • capacità di scongiurare ritmi cardiaci troppo lenti (attività simpaticomimetica intrinseca);
  • interferenza col funzionamento dei canali del sodio nelle membrane cellulari al fine di ridurne l'eccitabilità, la velocità di conduzione, tutte proprietà antiaritmiche;
  • attività antagonistica anche nei confronti dei recettori α.

Questi farmaci sono in grado di influenzare la forza di contrazione del cuore e la frequenza cardiaca. Inoltre, possono stimolare vie secondarie che regolano la pressione arteriosa e la vasodilatazione, interagendo con un sistema localizzato a livello renale, il sistema renina-angiotensina o con il rilascio di ossido nitrico (NO), un potente vasodilatatore.

Quando vengono utilizzati i farmaci betabloccanti?

I farmaci betabloccanti sono usati sia da soli (mono-terapia) che insieme ad altri farmaci (poli-terapia).
Le patologie per cui è prevista la loro prescrizione sono tante e molto diverse tra di loro: in tutte sono stati dimostrati i loro benefici.

La patologia per eccellenza, comunque, per cui i farmaci betabloccanti sono considerati “salva vita” è l’insufficienza cardiaca, ovvero quando il cuore è incapace di pompare sangue nelle arterie in maniera sufficiente.

Di seguito elenchiamo altri casi in cui i farmaci betabloccanti sono utilizzati:

  • in seguito ad infarto miocardico, come prevenzione secondaria;
  • per prevenire o trattare irregolarità del battito cardiaco come aritmie o fibrillazione atriale;
  • dolore al petto (angina pectoris);
  • per curare l’emicrania;
  • come trattamento del tremore essenziale;
  • per controllare stati di ansia e tachicardia su base ansiosa;
  • come coadiuvante nella terapia per curare un eccesso di ormoni tiroidei (tireotossicosi);
  • come trattamento di disturbi del cuore come la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva;
  • come trattamento di un tumore raro delle ghiandole surrenali, chiamato feocromocitoma;
  • come profilassi della ipertensione della vena porta nel paziente affetto da cirrosi;
  • come terapia degli emangiomi cutanei del neonato.

Quali sono gli effetti collaterali dei farmaci betabloccanti?

Data la molteplicità di meccanismi d'azione, molto diversi anche all’interno della stessa categoria, è possibile che gli effetti collaterali provocati dai farmaci betabloccanti siano di diversa natura.

In generale queste molecole sono ben tollerate e la maggior parte degli effetti indesiderati è di grado lieve.

Eventuali effetti collaterali più gravi dipendono dall’azione betabloccante e possono essere:

  • peggioramento dell’insufficienza cardiaca;
  • blocco cardiaco, cioè un ritardo nella conduzione della corrente elettrica nel cuore;
  • broncospasmo, cioè una contrazione anomala ed eccessiva della muscolatura liscia dei bronchi, che porta al loro restringimento e quindi ad una riduzione del passaggio di aria nei polmoni con conseguente difficoltà respiratoria. Il broncospasmo viene osservato con maggior frequenza nei pazienti con disturbi ostruttivi ai bronchi. In questo caso i farmaci betabloccanti β1 selettivi sono quelli più indicati, visto che i recettori dei bronchioli sono di tipo β2.

Altri effetti indesiderati più frequentemente riportati, con una forte componente soggettiva, sono stanchezza e estremità fredde. Inoltre, i farmaci betabloccanti possono interferire con il metabolismo degli zuccheri, destabilizzando il controllo della glicemia; per questo motivo devono essere usati con cautela, soprattutto nei pazienti con diabete difficile da controllare.

È stato riportato anche un calo della libido con casi di impotenza maschile: l’incidenza di questo effetto è comunque molto bassa, anche se è stata enfatizzata, nonostante la mancanza di evidenze scientifiche.

Non sono state riportate reazioni indesiderate nei neonati allattati al seno da madri in cura con propranololo o con altri farmaci betabloccanti.

Qual è l'impegno dell'Istituto Mario Negri nella ricerca sui farmaci betabloccanti e sulle malattie del cuore?

È sorprendente come si possa ancora fare ricerca clinica su una classe di farmaci in uso da 50 anni!

Il Dipartimento di Medicina Cardiovascolare è impegnato in due aree terapeutiche che coinvolgono i betabloccanti e partecipa, anche come coordinatore, a due studi clinici multicentrici controllati.

Il primo è lo studio Reboot, coordinato dal CNIC (Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares) di Madrid. Questo studio si propone di reclutare in maniera casuale 8000 pazienti reduci da infarto miocardico acuto con normale funzione di pompa del cuore, per sottoporli o meno ad un trattamento cronico con farmaci betabloccanti. La rete delle cardiologie italiane, coordinata dal Mario Negri, comprende 30 centri, in cui sono stati inclusi ad oggi 1256 pazienti.

Il secondo studio è il Treat_CCM, coordinato dal responsabile di Dipartimento, Roberto Latini. Lo studio, che si propone di valutare il profilo di sicurezza e di efficacia in una malattia rara, gli angiomi cavernosi cerebrali famigliari (CCM) è stato finanziato da un grant di AIFA. Lo studio si è appena concluso, dopo più di 3 anni di lavoro collaborativo tra ben sei centri neurologici nazionali: Policlinico, Neurologico Besta e Niguarda a Milano, Policlinico Gemelli a Roma, Casa Sollievo della Sofferenza a SG Rotondo e Messina. I risultati ottenuti nei 71 pazienti inclusi nel trial saranno disponibili entro febbraio 2022. Al mondo esiste solo un altro trial farmacologico che utilizza l’atorvastatina in pazienti affetti da CCM, patologia che non ha altro trattamento se non la correzione chirurgica, quando possibile.

Roberto Latini e Filippo Maria Di Dona - Laboratorio di Farmacologia Clinica Cardiovascolare - Dipartimento di Medicina Cardiovascolare

Editing Raffaella Gatta - Content Manager

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