Il tumore dell'ovaio è una patologia piuttosto aggressiva che colpisce le ovaie. Queste, insieme a utero, tube di Falloppio e vagina rappresentano l’apparato genitale femminile.
Il tumore ovarico è una neoplasia piuttosto complessa ed eterogenea. Le evidenze scientifiche raccolte in questi anni suggeriscono che in realtà questo tumore è la manifestazione di più malattie che possono nascere in sedi diverse, ma che poi crescono e si sviluppano anche in sede ovarica.
Per questa ragione, sempre più ricercatori ritengono che il termine “tumore ovarico” sia riduttivo e che sia più corretto parlare di tumore maligno “dell’ovaio, delle tube o del peritoneo”, comprendendo tutta quell’area anatomica vicino alle ovaie.
Secondo la classificazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità distinguiamo due categorie di tumore maligno ovarico:
Il tumore ovarico primitivo può essere ulteriormente classificato in:
Solo il 10-15% dei tumori dell’ovaio è maligno e il carcinoma ovarico, quello di origine epiteliale, rappresenta il 60% dei tumori maligni diagnosticati.
Fino a pochi anni fa il carcinoma dell’ovaio era considerato e veniva quindi curato come se fosse una sola malattia. Oggi, invece, grazie alle conoscenze acquisite a livello molecolare, si ritiene che questo tumore sia una malattia eterogenea in cui si riconoscono ben cinque principali sottotipi istologici con importanti differenze in termini di fattori di rischio, modalità di disseminazione, alterazioni genetiche, risposta alla chemioterapia e conseguentemente di prognosi.
I diversi sottotipi sono:
La forma più comune di questa patologia è il carcinoma sieroso ad alto grado, la cui origine sembra essere a livello dell’epitelio delle tube di Falloppio. Queste cellule si trasformano in cellule tumorali, raggiungendo e invadendo non solo l’ovaio, ma anche gli altri organi presenti nella cavità peritoneale
Il tumore sieroso a basso grado, invece, sembra derivare dal tessuto epiteliale che ricopre la superficie dell’ovaio.
I sottotipi endometrioide e a cellule chiare derivano dall’endometrio, mentre ancora poco chiara è l’origine del tumore mucinoso.
Alla luce di quanto detto, quindi, si può affermare che il termine tumore epiteliale maligno dell’ovaio definisce almeno cinque malattie con diversa origine, ma che condividono la stessa sede anatomica: l’ovaio.
Tra le cause riconosciute come associate ad un alto rischio di sviluppare carcinoma dell’ovaio possiamo citare:
E’ stato dimostrato che l’aver partorito più figli (o multiparità), l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali sono associati ad un rischio ridotto di sviluppo di tumore ovarico.
Come già detto, alcune forme di carcinoma ovarico sieroso ad alto grado possono essere di natura ereditaria (circa il 15%).
Le mutazioni che si trasmettono dai genitori ai figli, definite germinali, nei geni BRCA1 e BRCA2 aumentano il rischio di sviluppare un tumore al seno e/o all’ovaio rispetto a chi non ha queste mutazioni.
È ormai prassi consolidata anche in Italia testare la presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e 2 nelle donne a cui viene diagnosticato un tumore sieroso ad alto grado, cosa che può essere fatta attraverso un semplice prelievo di sangue. In presenza di una o più mutazioni, alla paziente verrà consigliato un consulto genetico per valutare il rischio che anche parenti più vicine (figlia, sorelle e nipote) possano contrarre la malattia.
La storia di Angelina Jolie ne è un esempio: l’attrice, infatti, dopo la perdita della nonna, della mamma e della zia per questa patologia, ha scoperto di essere portatrice di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 e ha scelto di ridurre il rischio di ammalarsi facendosi asportare prima entrambi i seni e poi ovaie e tube di Falloppio.
Il tumore dell'ovaio è una malattia molto subdola e infatti l’assenza di sintomi precisi è uno dei problemi che rendono difficile la sua diagnosi precoce.
La sintomatologia classica, cioè dolore al basso ventre, gonfiore, perdite ematiche, difficoltà digestive, è spesso ascrivibile a disturbi dell’apparato gastrointestinale e quindi molto spesso sottovalutata.
Le manifestazioni della patologia più frequentemente riscontrate sono:
Accanto a queste vengono riportati i sintomi meno comuni come:
Purtroppo, non esistono ad oggi test di screening utili ad effettuare una diagnosi precoce del tumore dell’ovaio. Per questa ragione, insieme poi alla mancanza di sintomi specifici, nella maggior parte dei casi la diagnosi viene fatta ad uno stadio avanzato della malattia.
Il percorso diagnostico da seguire in caso di sospetto tumore dell'ovaio prevede:
La chirurgia rappresenta il trattamento terapeutico di prima linea: più il chirurgo sarà scrupoloso nel riconoscere e rimuovere la massa tumorale e le eventuali metastasi, maggiore sarà la sopravvivenza delle pazienti. Inoltre, i dati riportati in letteratura dimostrano chiaramente che le percentuali di guarigione sono più alte se le pazienti vengono curate nei centri ospedalieri d’eccellenza per il tumore ovarico.
Oltre alla rimozione di una o di entrambe le ovaie e delle tube di Falloppio, il chirurgo potrebbe essere costretto a rimuovere anche:
Dopo la chirurgia, le pazienti generalmente devono sottoporsi a chemioterapia, allo scopo di eliminare tutte le eventuali cellule maligne rimaste.
La terapia farmacologica del tumore ovarico sta conoscendo oggi una nuova primavera. Per molti anni, infatti, l’unica terapia approvata per la prima linea, indipendentemente dal tipo di tumore, prevedeva due farmaci da somministrarsi insieme carboplatino e taxolo.
L’avvento dei farmaci che contrastano la formazione dei vasi sanguigni, chiamati anti-angiogenici, ha portato alla approvazione di bevacizumab, un anticorpo monoclonale usato come antitumotale in chemioterapia.
Recentemente è stata introdotta, anche in prima linea, una nuova categoria di farmaci gli “inibitori di PARP” (PARPi), piccole molecole capaci di inibire la proteina PARP coinvolta nei processi di riparazione del DNA. Questi farmaci sono caratterizzati da una notevole efficacia clinica, soprattutto in pazienti con un sistema di riparazione del DNA difettoso a causa di mutazioni nei geni BRCA1 e 2 o in geni coinvolti in un altro meccanismo di riparazione del DNA, chiamato ricombinazione omologa o HR (dall’inglese homologous recombination). A differenza delle altre terapie farmacologiche, i PARPi possono essere assunti per via orale quotidianamente, senza la necessità di recarsi in ospedale.
L’EMA (Agenzia Europea per i medicinali) ha dato parere favorevole alla commercializzazione di questi nuovi farmaci nemmeno dopo un anno dalla pubblicazione dei risultati dello studio clinico. L’oggetto del trial era l’utilizzo in prima linea dei PARPi insieme ai farmaci anti-angiogenici in pazienti con sistemi di riparazione del DNA difettosi.
Le pazienti affette da carcinoma dell’ovaio possono scegliere di rivolgersi a centri specializzati per avvalersi delle migliori cure oggi disponibili.
I centri sono:
Il team che seguirà la paziente è generalmente costituito da ginecologi specializzati in oncologia e chirurghi specializzati in chirurgia ginecologica oncologica.
Sono tanti oggi gli studi clinici sperimentali a livello mondiale a cui le pazienti possono prendere parte e molti sono i centri italiani coinvolti.
Per accedervi, la paziente dovrà rivolgersi al proprio oncologo, che valuterà il possesso di determinati requisiti per partecipare e le segnalerà lo studio a lei più appropriato.
Negli ultimi anni sono fiorite anche in Italia diverse associazioni che raggruppano donne con storia personale e famigliare di tumore ovarico.
Tra gli obiettivi delle associazioni troviamo:
L'associazione più conosciuta in Italia è l'Acto Onlus - Alleanza contro il Tumore ovarico, nata con l'obiettivo di unire in una vera e propria alleanza pazienti, ricercatori, medici, strutture sul territorio, imprese, uomini e donne di buona volontà intenzionati a collaborare. Ciascuna di queste persone mette a disposizione le proprie competenze per la lotta contro il cancro all'ovaio.
Una delle principali aree di ricerca del Dipartimento di Oncologia è proprio il tumore ovarico.
Già nei primi anni ‘80, in collaborazione con l’Ospedale San Gerardo di Monza, i ricercatori dell'Istituto hanno creato Pandora, una “biobanca” che raccoglie campioni biologici di oltre 1700 pazienti con una storia clinica dettagliata di oltre 20 anni. È proprio grazie alle preziose informazioni ricavate da questo materiale che i ricercatori, studiando tumori dell’ovaio allo stadio precoce (stadio I), hanno identificato delle piccole molecole di materiale genetico, chiamate microRNA. Analizzando i microRNA si riesce a predire quale sarà l'evoluzione del tumore stesso.
Recentemente, è stata dimostrata la presenza di DNA tumorale del carcinoma ovarico già in PAP test eseguiti anni prima della diagnosi di carcinoma dell'ovaio. Questi dati suggeriscono che le analisi molecolari messe a punto potrebbero consentire una diagnosi precoce del tumore.
Inoltre, sempre nel Dipartimento di Oncologia, negli ultimi 20 anni sono stati messi a punto diversi modelli preclinici di tumore ovarico. Questi modelli si ottengono trapiantando frammenti di tumore proveniente da pazienti in topi immunodeficienti che, mancando di sistema immunitario, permettono al tumore umano di crescere.
Oggi sono disponibili circa 60 nuovi modelli di carcinoma ovarico che saranno utilissimi non solo per studiare processi biologici chiave di questa patologia, ma anche per capire perchè alcuni tumori rispondono alla terapia e altri no.
Tutto questo permetterà in un futuro non troppo prossimo la messa a punto di nuove ed efficaci strategie terapeutiche per combattere uno dei tumori più temuti.
Raffaella Gatta - Content manager
In collaborazione con Giovanna Damia - Laboratorio di Farmacologia Molecolare - Dipartimento di Oncologia