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April 28, 2023

Microplastiche: origini, cosa sono e perché sono pericolose

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Negli ultimi 70 anni abbiamo assistito ad un aumento esponenziale della produzione di plastica: basti pensare che sugli oceani oggi galleggiano 171 mila miliardi di frammenti di plastica. La produzione è destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni, soprattutto a causa dei prodotti in plastica "monouso". Insieme alla produzione di plastica, è cresciuta anche la quantità di rifiuti derivati da questo materiale. In seguito al loro lento tasso di degrado, la quantità totale di plastica e derivati continuerà ad accumularsi, raggiungendo i 12 miliardi di tonnellate entro il 2050.

Microplastiche: che cosa sono?

Tutte le plastiche, da quelle derivate dai prodotti di scarto, che popolano le discariche, a quelle utilizzate per la produzione di pneumatici e perfino quelle impiegate come imballaggi per alcuni alimenti, come le bustine di tè sintetiche, alla fine si degradano. Quello che ne risulta è la formazione di particelle microscopiche chiamate microplastiche, nel caso le loro dimensioni siano inferiori ai 5 mm, o nanoplastiche se hanno dimensioni ancora più piccole. Le nanoplastiche, avendo un diametro inferiore ai 100 nm, sono più piccole delle cellule che compongono il nostro corpo, e quindi sono invisibili ad occhio nudo.

Quali sono le origini delle microplastiche?

Una parte considerevole della plastica deriva purtroppo dallo sbagliato smaltimento: non essendo eliminata correttamente, finisce nell’ambiente. Già nel 1970, durante una spedizione di due mesi attraverso l'Oceano Atlantico, l'esploratore norvegese Thor Heyerdahl descrisse per la prima volta di aver incontrato una vera e propria "isola" di rifiuti di plastica che galleggiava sulla superficie dell’oceano. In seguito a questa scoperta, il Congresso degli Stati Uniti approvò nel 1972 quello che venne definito l'Ocean Dumping Act, un documento che regolamenta le attività di scarico dei rifiuti negli oceani. Purtroppo, quasi 50 anni dopo, i rifiuti di plastica non sono diminuiti; al contrario, continuano ad aumentare drasticamente.

Microplastiche: come si formano?

Studi recenti hanno stimato che circa 2.5 milioni di tonnellate di microplastiche finiscono ogni anno negli oceani e, di queste, 430.000 tonnellate si accumulano nel suolo dei paesi europei.

Le micro e nanoplastiche sono state rilevate anche nell’atmosfera e si sa che possono essere trasportate dal vento raggiungendo così anche in zone apparentemente incontaminate del nostro pianeta. La loro presenza è stata rilevata in 201 specie di animali commestibili, nell’acqua potabile e in diversi alimenti destinati al consumo umano, in particolare nei pesci, nei molluschi, nel pollame e nel sale.

Anche i tappi di plastica delle bottiglie possono rilasciare micro-frammenti durante il loro utilizzo, contaminando così le bevande che contengono e che, a volte, sono consumate anche dai più piccoli.

Tutti gli animali marini e terrestri, uomo compreso, sono quindi destinati a consumare inevitabilmente e inconsapevolmente le micro e nanoplastiche. È stato stimato che negli Stati Uniti, ogni persona ingerisce in media da 74.000 a 121.000 particelle ogni anno. La dimostrazione della presenza di micro e nanoplastiche in campioni di feci umane è inoltre una chiara dimostrazione di ciò che prima si poteva solo ipotizzare.

Questi dati, già di per sé inquietanti, sono ulteriormente aggravati da osservazioni recenti effettuate su organismi acquatici e roditori, che dimostrano la capacità di queste nanostrutture di attraversare le barriere biologiche, quali la placenta e la barriera intestinale, e di accumularsi nell’intestino modificando la composizione del microbiota.

Ulteriore pericolo legato alla dispersione delle micro e nanoplastiche è la capacità di creare legami sulla loro superficie con molecole estremamente reattive e potenzialmente tossiche, quali metalli pesanti e prodotti di fotocatalisi. Tale processo, meglio noto come “doping-effect”, favorisce fortemente la capacità di penetrare all’interno delle cellule di questi complessi  ibridi e potenziarne il loro effetto citotossico e oncogenico.

La distribuzione ubiquitaria delle micro e nanoplastiche nell’ambiente rappresenta quindi un’emergenza mondiale e suscita molta preoccupazione soprattutto per il loro possibile impatto sulla salute di tutti gli esseri viventi.

Microplastiche primarie e secondarie

Oltre che sulla base delle loro dimensioni, le particelle di plastica presenti nell’ambiente possono essere classificate in base alla loro origine.

Le microplastiche prodotte volontariamente dall’uomo e inserite nei prodotti sono definite come primarie. Vengono rilasciate direttamente nell’ambiente in seguito ad usura o durante il loro utilizzo, e si stima che rappresentino il 15-30% delle microplastiche presenti negli oceani. Ne sono un esempio le microparticelle rilasciate dai capi di abbigliamento durante i lavaggi, quelle derivate dall’usura degli pneumatici e quelle che si liberano durante l’uso di alcuni prodotti cosmetici come gli scrub, i dentifrici o alcune creme.

Più comuni, invece, come contaminanti ambientali sono le microparticelle secondarie, cioè quelle che si formano dalla degradazione degli oggetti di plastica “dimenticati” nell’ambiente e che si stima che rappresentino circa il 70-80% delle microparticelle ritrovate negli oceani.

Il pericolo delle microplastiche e l’impegno Mario Negri

Per chiarire gli effetti dell’esposizione alle micro e nanoplastiche sulla salute dell’uomo nel Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare sono in corso diversi studi. Luisa Diomede e Paolo Bigini coordinano un progetto finanziato dalla Comunità Europea denominato” Platform Optimisation To Enable NanomaTerIAL safety assessment for rapid commercialisation” (POTENTIAL) che coinvolge 12 partner internazionali (Italia, Spagna, Francia, Germania, Lussemburgo, Irlanda, Bulgaria e Cina), e che è volto a correlare le proprietà strutturali delle nano e microplastiche con il loro impatto ambientale e biologico.

I ricercatori, inoltre, sono interessati a chiarire i meccanismi con cui l’accumulo negli organi o nei tessuti delle micro e nanoplastiche può favorire l’insorgenza di alcune patologie causate dalla formazione e dall’accumulo di aggregati proteici tossici note con il nome di amiloidosi, come l’Alzheimer, il Parkinson, l’Huntington, la Sclerosi Laterale Amiotrofica familiare e, anche se più rare, le amiloidosi sistemiche. Queste malattie rappresentano un gruppo eterogeneo di patologie causate da proteine che normalmente sono presenti nel nostro organismo e che, per ragioni ancora non note, ad un certo punto assumono una conformazione diversa da quella nativa. Come riportato in una recente pubblicazione, le micro e nanoplastiche, accumulandosi nei vari organi anche a livello del sistema nervoso centrale, possono innescare il cambio conformazionale di alcune proteine favorendo così l’insorgenza di amiloidosi.

Quali sono le soluzioni al problema delle microplastiche?

Se fino a qualche anno fa si poteva pensare che il problema fosse “solo” di tipo ambientale, ora sappiamo che la contaminazione da micro e nanoplastiche rappresenta un’emergenza anche per la salute dell’uomo.

La soluzione non è univoca e sono richiesti sforzi congiunti per rimediare ai danni prodotti finora, sia da parte dei singoli cittadini che devono cambiare le loro abitudini, sia da parte delle autorità politiche-regolatorie e del mondo produttivo.

Sono necessari sforzi per cercare di ridurre la produzione dei prodotti plastici al fine di prevenire il rilascio di nuove micro e nanoparticelle nell’ambiente. Il mondo scientifico e tecnologico sta inoltre lavorando per trovare il modo di accelerare la degradazione della plastica già prodotta e presente nell’ambiente, per esempio utilizzando microrganismi o sostanze enzimatiche.

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